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martedì 5 aprile 2016

Primati - Disavventure in viaggio 2


Le disavventure in viaggio sono all’ordine del giorno.
Specie quando si viaggia in autonomia e si fa affidamento solo su se stessi.
Alcune (sempre a posteriori) sono divertenti e spassose.
Altre lasciano il segno e fanno mettere una croce definitiva sul posto visitato.
Altre ancora rimangono impresse per assurdità tanto da renderne quasi incredibile il ricordo stesso.
In compenso, tra tutti i viaggi e tutti i voli aerei anche con scali multipli non è (ancora) mai capitato che ci abbiano smarrito i bagagli.
Ma lo mettiamo in conto ogni volta, sapendo che prima o poi succederà.
Ecco perché partiamo con almeno un paio di cambi nello zaino.
Però per esempio per ben due volte siamo stati fermati dalla polizia in Sudafrica, per presunte infrazioni stradali, e una di queste un poliziotto ci ha chiesto una mazzetta per lasciarci andare.
Oppure abbiamo preso in pieno una colonna nel garage dell’autonoleggio proprio mentre riconsegnavamo la macchina dopo aver percorso 4000 km senza farle nemmeno un graffio.
O ancora, abbiamo perso l’aereo da Las Vegas a Los Angeles pur trovandoci in aeroporto tre ore prima, semplicemente perché a un certo punto non abbiamo più badato all’ora né agli annunci vocali e, convinti che mancasse ancora tanto, abbiamo continuato a gironzolare nell’euforia della luna di miele.
Insomma, per quanto la pianificazione sia minuziosa e capillare, non tutto è prevedibile.
Meno che mai i malesseri fisici.
E su questo tema potrei aprire una parentesi infinita.
In viaggio abbiamo di volta in volta avuto a che fare con: infezioni alle dita dei piedi, ascessi dentali, talloniti, febbroni da cavallo, ferite da cadute sugli scogli, raffreddori nemmeno a dirlo, gastroenteriti acute praticamente ogni volta che siamo stati in (nord) Africa, attacchi di rinite allergica e rash cutanei non meglio identificati che ci hanno portati a girare tutta Madrid alla ricerca del corrispettivo spagnolo del Gentalyn Beta (che per la cronaca si chiama Diprogenta).
Quello che però non avevamo mai ancora sperimentato era il ricorso a qualche medico locale.
Almeno fino all’ultimo viaggio in Malesia.
Dove il bisogno di  un medico lo abbiamo avuto non nella capitale, città per lo più moderna e attrezzata. E nemmeno nella successiva tappa di Singapore, metropoli ancora più all’avanguardia.
Nossignori, siamo dovuti andare dal medico (scoprendo che ce n’era uno) nel mezzo della giungla più profonda.
Temendo di vedersi palesare uno stregone o giù di lì.
Mattina della partenza, dopo cinque giorni di morsi di sanguisughe, trekking all’ultimo spasimo, caldo infernale intervallato da acquazzoni improvvisi, mi alzo per prima e mi preparo guardando, tra il sollievo e un pizzico di malinconia, per l’ultima volta la giungla dalla finestra dello chalet.

Poi sveglio l’amato bene.

Lui bofonchia, cincischia, quindi finalmente si alza annunciando però che gli gira tutto.
 E in effetti gli poggio una mano sulla fronte e sento che scotta parecchio.
Ma niente panico: una tachipirina e via, affrontiamo le 3 ore e mezza di lancia sul fiume che ci separano dalla fermata del pullman e le altre 2 ore di autostrada fino a Kuala Lumpur.
Mi giro a chiudere la mia valigia e sento un tonfo alle mie spalle.
Lui  accasciato a terra, gli occhi girati all’indietro, nessun altro segno di vita.
Da lì è stata esclusivamente pura azione. Azzeramento di pensieri, emozioni, ansie e ipotesi. Solo corse disperate.
Da quella per andare a chiamare aiuto, all’inscatolamento rapido di tutto ciò che mancava all’appello (e per fortuna il grosso delle valigie lo avevamo preparato la sera prima), al trasporto di due trolley, due zaini e il malato sottobraccio fino alla reception del parco per sbrigare le formalità di check out prima di recarci, armi e bagagli, “nella clinica al di là del fiume”.

L’addetta alla reception ci augura buona fortuna, mentre un angelo custode con muscoli e gambe veloci ci scorta giù fino al fiume, lungo la ripida scalinata per raggiungerlo. Ci aiuta a salire sulla lancia diretta sulla riva opposta dove, a un paio di chilometri, sorge la fantomatica clinica per raggiungere la quale però ci molla lì, salta su un motorino tutto scassato e torna con un gippone messo non molto meglio ma se non altro funzionante.
Nel frattempo io guido lo zombie dalla piattaforma su cui è attraccata la lancia fin sulla riva attraverso palanche di legno sulle quali già normalmente è complicato mantenere l’equilibrio, figuriamoci in preda a sintomi di svenimento.

Fa per accasciarsi di nuovo, ma per fortuna stavolta non perde i sensi e faccio in tempo a rovesciargli in bocca una bustina di zucchero che ho trafugato dalla stanza prima di andarcene.
Anziani del posto ci chiedono se abbiamo bisogno di aiuto, ringrazio mentre dico no e penso che invece sì, vorrei proprio una bacchetta magica.
O il teletrasporto direttamente in Italia, a casa mia, altro che clinica della giungla.
Tra l’altro sono le 8 e fra un’ora esatta parte la nostra barca per tornare a Kuala Lumpur.
Raggiungiamo un edificio dai muri scrostati e un piazzale antistante di terra battuta dove ci registrano chiedendoci il passaporto e l’equivalente di 10€.
Un ambulatorio rudimentale, con avvisi e manifesti informativi sulle pareti verniciate di rosa e verde acqua. Un paio di sedie a rotelle arrugginite e aste per le flebo altrettanto vecchie.
Ma mai un posto mi è sembrato tanto accogliente e confortante.
Un signore senza denti e una mamma con un bambino stretto al petto da una fascia colorata aspettano il loro turno lanciandoci sguardi bonari, nella lingua universale della solidarietà.
Il tizio che ci ha accompagnati sta sempre con noi, facendoci, all’occorrenza,  anche da traduttore malese-inglese.
Alle 8.30 ci chiama il dottore, un ragazzo giovane dalla pelle ambrata e il sorriso rassicurante.
La stanzetta è microscopica, ma ci sono una scrivania, un lettino e l’aria condizionata a temperature siberiane.
Penso che se mai dovesse venirci un colpo, a entrambi, sarebbe qua dentro.
A lui per la febbre, a me per la paura che pur tenuta a freno scorre vivida sotto la pelle.
Ed entrambi, naturalmente, col colpo di grazia inferto dalle temperature glaciali.
Gli guarda la lingua, le unghie; gli prende le pulsazioni con l’orologio, lo fa sdraiare sul lettino tastandogli la pancia, lo stomaco, lo fa rialzare, scrivendo su un foglietto la terapia.
È molto disidratato, sentenzia.
Tento di dire che ho delle medicine con me e che potrebbe cercare tra quelle se c’è qualcosa che può servire.
Lui, gentile ma fermo, replica che al malato spettano le medicine della clinica.
Con il foglietto in mano ci rechiamo presso un gabbiotto poco distante dove una donna con il velo ci consegna tre bustine contenenti altrettanti blister di medicinali vari nella quantità esatta della cura:
-         due bustine di Sali minerali
-         6 antipiretici
-         6 equivalenti del nostro Buscopan
Senza sprechi, senza ulteriori pagamenti. Tutto compreso nei 10 euro della registrazione iniziale.

L’amato bene nel frattempo si è leggermente ripreso e alle nove meno due minuti, giusto un attimo prima della partenza della lancia, il nostro angelo custode ci riscarica in riva al fiume.

Lo vorrei abbracciare per la gratitudine e mi viene da piangere all’idea di non vederlo mai più.
Il resto del viaggio è dita incrociate (io) e sonno profondo (lui), cullati dalle onde del fiume.

Peripezie varie per salire e scendere dalla barca, prendere il pullman e poi la metro fino all’Hotel di Kuala Lumpur dove arriviamo nel tardo pomeriggio, tirando un sospiro di sollievo.
Mentre lui si butta sul letto sfiancato dalla debolezza e dalla febbre, io ne approfitto per farmi un giro per la città e anche scorta di limoni, biscotti, mele, alimenti compatibili con l’ammalato

 e qualche genere di conforto per me.


Il tutto mentre penso che stavolta io sono stata proprio fortunata a non prendermi niente. E che lo prenderò in giro per il resto della vita, dal momento che è vero che a stare male in viaggio solitamente sono sempre io ma quello che è svenuto come una pera cotta è lui.
La sera mi addormento con questa sottile euforia, grata al destino per averci fatto conoscere, pur nella sfiga, persone speciali come l’angelo custode e poi l’esistenza di realtà commoventi come quella piccola, incredibile clinica nella giungla attrezzata di tutto.
Il mattino dopo l’amato bene pare completamente ristabilito. Ha ripreso a parlare a macchinetta e, cartina alla mano, snocciola tutto il programma della giornata.
Io non mi sento tanto bene. Devo aver digerito male la cena di ieri.
Ma penso con gioia ai biglietti prenotati per salire sulle Petronas Tower.
 E con quelli nella tasca usciamo nel caldo asfissiante della città.
Sbrighiamo le formalità di ingresso, ci mettiamo in fila, consegniamo gli zaini e ci apprestiamo a  salire sulle torri famose in tutto il mondo.
Il malessere cresce sempre di più ma cerco di non badarci.

Facciamo la prima tappa per ammirare lo sky bridge e io ne approfitto per prednere aria dopo il viaggio interminabile in un ascensore stipato all’inverosimile che fa rotolare lo stomaco fino in gola a ogni piano che sale.

Ripartiamo alla volta dell’ ottantaseiesimo piano, fulcro della visita, pezzo forte di tutto il tour.
Mi guardo intorno ma non vedo bagni nei paraggi, allora faccio finta di niente e mi concentro sul panorama, che da quelle altezze è proprio bello.
Finchè l’amato bene non mi dice “guarda! Oscilliamo: fissa un punto fermo, come quel palazzo la sotto e vedi come ci muoviamo!”
Mi basta uno sguardo rapido, uno solo.
Dopodiché, all’ottantaseiesimo piano delle Petronas Tower, in mezzo a gente di tutte le razze, dopo aver invano cercato un bagno, inauguro in grande stile il pavimento di marmo tirato a lucido, candido e immacolato, dando ampio sfogo a tutti, tutti i conati ignorati fino a quel momento.
Nel frattempo l’amato bene ha rintracciato uno della security che sollecito mi pone la domanda più astuta del mondo: signora, ha bisogno di un bagno?
E per fortuna senza aspettare la risposta mi scorta verso una porticina invisibile dietro la quale si cela il bagno più bello del mondo con vetrata immensa sul panorama di Kuala Lumpur e orchidee fresche ai lati del lavandino.
Pensa ai lati positivi, mi sussurra l’amato bene quando torno fuori per riunirmi al gruppo ormai prossimo alla discesa.
Non avresti mai visto quel bellissimo bagno.
E poi non è da tutti vomitare all’ottantaseiesimo piano delle Petronas. Non è da tutti.




16 commenti:

  1. che avventura ahahah...tutto sommato meravigliosa dai..

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  2. Certo star male in viaggio è tremendo... ma siete stati bravi, a non perdervi d'animo e a cercare - e trovare - il bello e il bene in quello che vi è capitato, e poi - per fortuna!! - niente di grave e soprattutto non contemporaneamente. ^_^
    Un abbraccio

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    1. Ecco sì, contemporaneamente sarebbe stato molto peggio. Avrei fatto a meno della disavventura però è anche vero che senza quella non avremmo mai incontrato quella persona gentile, mai saputo che nella giungla ci fosse una " clinica ", mai capito che tutto sommato alla fine, messa alle strette, fai tutto, anche quello che mai crederesti possibile.
      Ora non dirò più " ah io in quella situazione rimarrei paralizzato dalla paura ". Non è così. Ho una consapevolezza nuova!
      Abbracci a te Vale, a voi. E tanti baci.

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    2. È proprio come dici Luna: a me è capitato in barca, due volte in due situazioni completamente diverse da quella vissuta da voi. Se qualcuno mi avesse raccontato quello che è capitato a me e il Capitano quelle due volte avrei detto "io sarei andata nel panico", e invece nel momento in cui lo abbiamo vissuto non abbiamo avuto il tempo di "appanicarci", ma abbiamo agito e affrontato la situazione... una delle due volte, dopo - passato il momento parossistico e calata l'adrenalina - io mi sono sentita male!!!

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    3. Infatti una volta tornati sono stata una settimana a letto per presunta influenza..ma secondo me era solo il sollievo di essere tornati e l adrenalina che a quel punto mi aveva abbandonata..

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  3. Ma senti visto che è tutto passato devo sorridere mi immagino le scene e la tua paura e poi ovviamente lo stress di ha fatto cedere quando abbandoniano l'andrenalina che non ci serve più si parte per la tangente.
    Un abbraccio cara e buona serata.

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    1. Esatto Edvige: proprio così!! A quel punto potevo rilassarmi, anche stando male!
      Abbracci a te e buon fine settimana

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  4. ci credi che la mia ultima disavventura è stata un volo da Roma a Palermo con turbolenza massima...50 minuti di ansia e di stomaco sottosopra...mai successo con voli internazionali per fortuna!! Un abbraccio SILVIA

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    1. Mamma mia silvietta!! Si meno male che non era un volo lungo che un conto sono 50 minuti, ma 10-12 ore in quel modo è da morire!!
      Un bacione!

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  5. Povera Luna! Star male in vacanza è quanto di più brutto possa succedere... l'importante è che sia passata... comunque, te l'ho già detto: racconti sempre le tue piccole disavventure con un tocco di humor che mi piace moltissimo: riesci sempre a strapparmi un sorriso :-) Un abbraccio cara!

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  6. Oh mamma che spavento... diciamo che alla fine del post ridevo ma mentre leggevo ero così immedesimata che avevo gli occhi sgranati dalla paura!!
    Provare il pronto soccorso della giungla non è da tutti... e la tua particolarissima visita sulle Petronas non ne parliamo... diciamo che nei vostri viaggi non vi fate mancare proprio nulla ahahahah!!!
    Baci e buona giornata :-)

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    1. Ah no, noi i viaggi li prendiamo proprio sul serio e sperimentiamo di tutto!! Grazie bella baci a te e buon fine settimana!!

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  7. Secondo me non passi per Fiumicino! ahahah ben due volte ci è capitato di fare scalo lì e di perdere i bagagli. Una media bassa, ma lo sappiamo che lì il rischio c'è sempre :-D
    Con la macchina, una volta mi hanno dovuto tirare fuori da un canalino preso mentre facevo retromarcia, niente danni per fortuna, un'altra volta prendo il divisorio di cemento nel garage della riconsegna in città :-) sempre dopo aver fatto km e km senza il minimo danno :-) In entrambi i casi niente di più da pagare :-D
    Avendo la moglie farmacista, partiamo sempre con una piccola farmacia, ma non c'è cosa peggiore che stare male mentre si è in giro, avendo semmai un programma da rispettare per forza. Ve la siete vista bruttina, però l'importante è che ora ci si può ridere su. Dai, quanti possono dire di essere stati curati nella giungla o di aver vomitato sulle Petronas? :-D

    Fabio

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    1. Eh sì ci siamo conquistati questi record senza peraltro il minimo sforzo!! Quando abbiamo preso noi la colonna nel garage della riconsegna invece abbiamo dovuto pagare! Una piccola cifra ma non era tanto quello, quanto la figura che al pensiero ci fa ancora arrossire! Quanto ai bagagli Fabié che ne so noi partiamo e arriviamo da Fiumicino. Molto raramente da Ciampino. Può darsi che gli scali siano diversi e più soggetti alla sparizione dei bagagli. Ma ti dico: il mio trolley è semi distrutto ormai inguardabile e sempre più disastrato ma non voglio cambiarlo anche per scaramanzia, visto che finora mi è andata bene! Tanto lo so che il trolley nuovo me lo smarrirebbero subito!!
      un abbraccio, Buona giornata buon weekend!!

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