"A casa non s'arriva mai, ma dove confluiscono vie amiche, il mondo per un istante sembra casa nostra" (H.Hesse)

martedì 25 novembre 2025

Doha: molto più di uno scalo

 


Doha è una città onirica, un plastico lego in cui tutto è al suo posto: ordinato, lucidato, perfetto.


A volte anche troppo perfetto.



Stazioni della metropolitana così grandi che tramite i sottopassaggi puoi arrivare da un quartiere all'altro, ma a differenza del Giappone, questi non sono costellati di negozi, punti ristoro, attività commerciali:



 sono proprio solo dei lunghi, bellissimi corridoi, corredati di bagni scintillanti e completamente gratuiti.


Tirati a lucido, asettici, splendenti, ma... desolatamente vuoti

(che per una pendolare come me, costantemente pigiata in convogli stracolmi e costretta a bivaccare in stazioni sporche, con  perenni lavori in corso, scale mobili rotte e  graffiti sui muri, non rappresenta necessariamente un difetto. Casomai un motivo di riflessione).


Le persone che ci passano (e che quindi fruiscono della metro, che sembra un salotto, il cui biglietto giornaliero costa 1,50 e sulla quale esiste anche un vagone di prima classe! – per pochi centesimi in più) sono estremamente poche rispetto alla loro capienza, a quello che potrebbero essere e non sono.


Lo stesso accade nei centri commerciali: maestosi, scenografici eppure quasi vuoti.




Di questi, un po’ come a Dubai, ce ne sono un po’ di tutti i tipi: come quello che è una riproduzione di Venezia con canali, piazze, palazzi, gondole e pure fiori alle finestre (finte).

Volendo fare un appunto: il cielo (pure quello ovviamente finto) è un tantino scuro, per il resto è meglio di quello dell' Hotel Venetian a Las Vegas (ma non del medesimo Mall a tema, che si trova a Dubai).

Insomma: pare che Venezia vada per la maggiore fra gli ideatori di alberghi e centri commerciali…

A me diverte sempre molto vederli.

E poi i soliti contrasti arabi: questo romantico Mall in questione è inglobato - non se ne comprende l'attinenza -  in un enorme complesso (chiamato ASPIRE ZONE o anche SPORT CITY), di circa 2,5 km quadrati, fatto di piscine (che due anni fa ospitavano i mondiali di nuoto), campi da golf, da rugby, da ogni altro tipo di sport; prati sconfinati con laghetti e paperelle,  una clinica ortopedica specializzata in medicina sportiva, un'accademia per il reclutamento di talenti, lo stadio internazionale Khalifa e il più esteso impianto sportivo coperto al mondo.


Se tutto ciò non fosse ancora sufficiente a dar prova di una certa megalomania, basta alzare gli occhi al cielo per seguire la sagoma sinuosa di The Torch, il grattacielo- simbolo di Doha, alto 300 mt e dotato di una piscina a sbalzo che solo a guardarla da sotto mette i brividi.


(comunque poi, per inciso, e per restare con i piedi per terra, al Carrefour della finta Venezia vendono datteri sfusi di una bontà assoluta)


Di Doha colpiscono gli spazi immensi e, contestualmente,


la sensazione, stranissima, di camminare per strada e essere avvolti dal silenzio. Tante macchine e pochissimo rumore.


Ma non è l’unica particolarità.

Come quasi ogni città mediorientale che si rispetti (vedi Jeddah già 40 anni fa), vanta i monumenti più strani e assurdi, come un'ostrica gigante con la sua perla sul lungomare (per non tacere dei lampioni a forma di foglia di palma) o un pollicione dorato che sbuca dal pavimento del souk (..boh); 





ma per essere al passo con i tempi sfoggia pure uno skyline di grattacieli dalle forme più incredibili (e davanti le imbarcazioni tradizionali in legno (proprio come a Dubai).




Per la verità, un giorno, chiedendo informazioni e sobbarcandoci un’ora e passa di tragitto in metro, ci siamo spinti fino all’estrema periferia dove sorge un altro gruppo di grattacieli con altre forme ancora: a scatole sovrapposte, a zig zag, e poi una mezzaluna che si innalza da terra, maestosa e sconfinata, che fa veramente impressione, soprattutto buttando l'occhio ai balconi degli ultimi piani (la struttura ospita due hotel di lusso). Anche questi affacciati sui colori del Mare arabico.


Il quale peraltro è contornato da più di 7 chilometri di meravigliosa passeggiata.


Ecco, arrivare da un quartiere all' altro della città richiede un certo tempo, viste le distanze abissali che li separano.

Chissà perché hanno deciso di costruirla così, con tutto lo spazio a disposizione (il Mall più grande del Qatar, per esempio, è a 40 minuti di metro dal centro, in pieno deserto), eppure non è che in città mancassero gli spazi…

Ad accomunarli tutti comunque: la perfezione, l' ordine, lo scintillio , la pulizia rigorosa.

Non una scritta, non una virgola fuori posto. Maniglie lucide, vetri specchiati, pavimenti profumati, fiori sui lampioni.


Ogni quartiere, così come ogni grattacielo è studiato per stupire, ammaliare, lanciare messaggi.


Dal Museo nazionale a forma di rosa del deserto,


 alla biblioteca concepita come due fogli di carta ripiegati all'interno



 che mentre raggiungi l'ingresso ti sembra di entrare in un libro; 


fino all'atrio del centro commerciale che ha il soffitto alto 30 mt per ospitare delle strutture (ricoperte di piante vere) simili ad alberi, passando per un anfiteatro affacciato sul mare.


E poi, in contrasto con tanta fantascienza,  c'è il Souk Wakif


luogo di ritrovo per la sera, con la polizia a cavallo e  gli abitanti locali,



 così come i turisti di altre zone del Medioriente, che girano con i loro abiti, tutti apparentemente uguali  ma pieni di particolari diversi in base a stato civile, posizione sociale, luogo di origine, così che in giro vedi solo bianco, nero e qualche quadrettato rosso e bianco.


Doha è veramente una bella città, che merita più di una visita fugace in poche ore di scalo.


È bella la sua atmosfera, i tramonti struggenti sul suo lungomare, 


il suo essere una città-luna park in cui tutto è grande, sfarzoso, esagerato.




Tuttavia, a differenza di Dubai, è una città che rimanda la sensazione di “vuoto”, di perenne attesa.



Doha è come una festa in cui è tutto pronto ma gli invitati non arrivano.

Tutti gli stadi costruiti per i mondiali del '22 sono lì, illuminati da giochi di luci che vederli da fuori è uno spettacolo ma poi sai che nessuno ci entra, perché  i mondiali sono passati e di partite di calcio se ne giocano proprio poche qui.

Attesa.

Tanti grattacieli con i cartelli “Affittasi”.

Anche quelli: illuminati di notte, tirati a lucido, mantenuti puliti e scintillanti.

Pronti per essere avviati!

Ma in attesa.


Manca la vita, soprattutto quella diurna: tanti bellissimi locali dove mangiare la sera ma pochissimi, sparuti e sperduti bar/chioschi/catene in cui prendere un caffè o anche solo una bottiglia d'acqua di giorno. 

Trovi per miracolo una gelateria davanti al museo nazionale (non vende acqua). Con tanti, invitanti tavolinetti all'ombra di bellissimi alberi.

Vuota.

E pensi: come minimo avrà un gelato vecchio di chissà  quando.

Invece è freschissimo, vellutato, corposo, buono.

È tutto pronto qua a Doha.

Mancano solo gli invitati.



 

venerdì 14 marzo 2025

Ayutthaya…e ritorno


Per il breve, fugace attimo di una mezza giornata, ci allontaniamo dal caos infernale di Bangkok  per ritrovarci fra le rovine della vecchia capitale del Siam, Ayutthaya.

La raggiungiamo dopo due cambi di metro, un lungo (ma interessante) percorso a piedi alla periferia di Bangkok e il viaggio di poco meno di due ore a bordo di un minivan prenotato dall’Italia.


All’arrivo, prenotazione alla mano, ci danno due biglietti e ci indicano il nostro bus fra tanti in un enorme parcheggio sotterraneo.

Nonostante all’atto della prenotazione si debba specificare anche l’orario prescelto, questi minibus partono solo una volta che si sono riempiti.

Con molta calma.

E raccolgono diversi tipi di passeggeri: lavoratori, studenti, turisti.

Anche sulle fermate molta flessibilità: ci sono quelle ufficiali, ma noi abbiamo visto fermarsi l’autista nel nulla, solo al cenno di una persona lungo la strada, così come accordarsi con i passeggeri a bordo su dove preferissero essere lasciati.

Ad Ayutthaia troviamo, se possibile, ancora più caldo che a Bangkok.

E poi, magnifici resti di templi, 


parchi sconfinati  con piccoli specchi d'acqua (o erano miraggi?),


 statue di Buddha (anche conficcate in tronchi d’albero), 




canto di uccellini e timidi refoli di vento che, seppure  molto simili a quelli di un asciugacapelli sparato al massimo, danno quasi un' illusione di piacevolezza.  Sebbene  i termometri continuino a segnare 36,7°C e 3BMeteo a specificare che "percepiti sono 40".

Con un caldo così torrido, la visita di quella che è una sconfinata distesa di templi, resti di palazzi nobiliari e gigantesche stupa, si rivela veramente difficile.



L’organizzazione è capillare: un biglietto cumulativo per la visita dei cinque templi più importanti, rivendite di acqua fresca, molteplici bagni ben segnalati, dei gazebo con panche e sedie sotto i quali rifugiarsi ogni tanto.


Più che turisti, troviamo numerose scolaresche in gita delle quali mi diverto a osservare le uniformi.

Diverse, a seconda delle scuole, per colore e abbinamenti.


Quando la situazione si fa del tutto insostenibile, ci rifugiamo in un bel locale con  aria condizionata dove mangiamo (molto bene) e ci attardiamo per oltre un’ora, 



prima di decidere di fare ritorno alla stazione del bus, rinunciando a  visitare l'ultimo tempio che dei cinque previsti (il più lontano!) e anche a cercare una bancarella di “roti sai mai”, il più famoso dolce della città (inventato proprio qui), che avrei tanto voluto assaggiare.

A bordo del minivan ci sono temperature glaciali.

Ovviamente dobbiamo aspettare che si riempia, ma poi ci facciamo furbi pure noi e all’arrivo chiediamo di fermarsi sotto una stazione a caso della metro sopraelevata. Per un rientro soft direttamente nel centro commerciale più  grande e frequentato di tutta Bangkok!




Una sorta di obolo per aver osato volersi allontanare, per un po', dal casino. Mentre riprendiamo fiato osserviamo vetrine con scarpe improbabili, ancora dragoni sparsi: colorati, dorati, scintillanti; ma soprattutto la stratificazione infinita di questa città,  dal  livello strada fino all' ottavo piano del centro commerciale e in mezzo due binari volanti per la metro.

Poi uno dice che manca l'aria...

E comunque, come altro poteva chiamarsi il centro commerciale se non, anch'esso, Siam?



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