"A casa non s'arriva mai, ma dove confluiscono vie amiche, il mondo per un istante sembra casa nostra" (H.Hesse)
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mercoledì 21 ottobre 2020

Never give up - Pumpkin Pie vegana

 


Da marzo ho smesso di andare in palestra.

Il che avrebbe potuto tranquillamente significare uno stato di abbrutimento generale, con mattinate senza sveglia, ciondolamenti da perdigiorno e olimpiadi di pigrizia.

E invece no!

Da quel dì, della chiusura di tutto il chiudibile, io mi sono data regole ferree di sana cura del corpo. All’inizio incerta e controvoglia, ma pur sempre ligia a una rigidissima tabella di marcia autoimposta comprendente:

10 minuti di riscaldamento

30 minuti di attività intensa

10 minuti di rilassamento/stretching/passaggio in rassegna di contratture varie e ossa rotte eventuali.

Tutti cronometrati (i minuti, non gli accidenti) ed equamente suddivisi per gruppi muscolari. Tanto per non lasciare nulla al caso.

Prima affidandomi ai ricordi freschi di tutti gli anni di assidua frequentazione poi, a mano a mano che questi si dissolvevano insieme alla voglia di fare, scartabellando video tutorial messi gentilmente a disposizione dall’istruttore ai tempi in cui vedersi non era possibile.

Forzandomi, torturandomi proprio.

Fino a creare una routine palestricola di tutto rispetto della quale oggi non potrei più fare a meno.

Con questo non posso certamente dire che faccia salti di gioia al suono della sveglia o mi rotoli dalla felicità quando arriva la domenica sera sapendo che mi aspettano 5 giorni di “sana routine”. Eppure ancora tengo duro.

Mi alzo un’ora prima (perché del tempo di ricognizione generale su me stessa e l’ambiente circostante non riesco a fare a meno neanche rimanendo dentro casa), NON faccio colazione, mi preparo, srotolo il tappetino, avvio il cronometro e metto su una colonna sonora che ben mi disponga (nella fattispecie è sempre la stessa e parte precisamente con Flashdance per approdare a Top Gun…si accettano insulti e consigli) e alle 8 in punto comincio.

Roba che il mio istruttore sarebbe fierissimo di me, se solo sapesse e non ricordasse invece che a lezione arrivavo sempre un quarto d’ora dopo.

A 3 giorni di solitario e malinconico allenamento ne seguono poi 2 (gli ultimi della settimana lavorativa) fatti di 7 km di camminata veloce alternata a corsa, che mi portano fino al mare e segnano la conclusione del programma di allenamento.

Sabato e domenica liberi e felici.

Del come riesca a farlo senza cedere non mi è ancora dato di capire fino in fondo. Sarà l’età che avanza e lo spettro del metabolismo che rallenta. Fatto sta che non salto un giorno.

Ma in realtà ho un progetto ben preciso.

Il record mondiale di plank lo detiene un 62enne rimasto in posizione 8 ore, 15 minuti e 15 secondi.

Ecco, io ambisco a scavalcare il mio minuto e soprattutto i 3 secondi seguenti.

 

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La prima volta che ho assaggiato una pumpkin pie eravamo a Boston e faceva freddissimo. Mi era piaciuta da morire e da quel viaggio mi ero riportata le spezie per rifarla. Sono dovuti però passare 10 anni prima che mi decidessi e a questo punto mi è venuta voglia di farla in versione vegana e senza zucchero. Il risultato ci è piaciuto così tanto che appena finita l’ho fatta nuovamente aggiungendo alla base due cucchiai di cacao! L’ispirazione arriva da qua, con qualche piccola modifica.


Versione al cacao

Ingredienti (per uno stampo da 22 cm)

Per la base

250 gr di farina di farro

120 ml di acqua

3 cucchiai di olio di riso (o extra vergine d’oliva)

3 cucchiai di fecola

3 cucchiai di sciroppo d’acero

½ cucchiaino di lievito per dolci

½ cucchiaino di cannella

Per la farcitura

450 gr di polpa di zucca cotta al forno (io la taglio a fette e la metto, con tutta la buccia, su una placca ricoperta di carta forno cuocendola a 180° finché, infilzandola con una forchetta, non risulti morbida)

200 gr di yogurt di soia

4 cucchiai di sciroppo d’acero

½ cucchiaino di spezie miste in polvere (cannella, zenzero, chiodi di garofano, noce moscata)

1 cucchiaino di farina di riso

 


Procedimento

Preriscaldare il forno a 200°.

Setacciare in una ciotola le farine con il lievito e la cannella. Aggiungere l’olio, l’acqua e lo sciroppo d’acero e impastare fino a ottenere un composto omogeneo. Coprirlo con la pellicola e lasciare riposare in frigo almeno mezz’ora.

Nel frattempo preparare il ripieno. Togliere la buccia alla zucca e frullarla insieme allo yogurt, alle spezie e allo sciroppo d’acero. Aggiungere il cucchiaio di farina se dovesse risultare troppo acquosa. Deve avere la consistenza di una crema spalmabile.

Oliare uno stampo da crostata e stendervi direttamente all'interno, con le mani, l’impasto della base. Riempirlo con la crema di zucca e infornare a 200° per i primi 10 minuti, poi a 180 ° per altri 30. Lasciare raffreddare completamente prima di gustarla.

Note:

-      si conserva in frigorifero per 3-4 giorni.

-      raggiunge la consistenza ottimale e un gusto più armonico dopo una notte di riposo.

 


lunedì 18 maggio 2020

Si può! – Crostata di mele del Dottor Berrino



Chi non conosce il Professor Berrino? Colui che ha all’attivo fiumi di pubblicazioni scientifiche e libri divulgativi sull’importanza dell’alimentazione nella cura delle malattie. Quello che non sapevo è che pubblicasse anche ricette e non solo scritte! Compare infatti, insieme al figlio Jacopo, in un divertente video in cui sono entrambi alle prese con la preparazione di una crostata di mele. 


Quello su cui punta l’attenzione maggiormente il Prof Berrino è la dannosità dello zucchero. Al punto tale, sostiene, che non andrebbe sostituito, ma proprio eliminato del tutto e non solo se si è diabetici.
Come? Abituandosi progressivamente a gusti meno dolci. A dolcificare, per esempio, con uvetta, albicocche secche, datteri e poi con i semi oleaginosi: zucca, lino, girasole e sesamo; e con la frutta secca: mandorle, noci, nocciole.
Ecco, io, da grandissima golosa quale sono, non rappresento certamente la persona più adatta a dare incoraggiamenti in questo senso. Eppure da 4 anni, per un problema di salute ho dovuto rivoluzionare radicalmente la mia alimentazione, rinunciando a molte cose di cui pensavo di non poter mai fare a meno. Come per esempio il caffè.
Salvo poi scoprire che di tutto, veramente tutto, si può, col tempo e l’abitudine, fare progressivamente a meno.
Il primo anno sono stata rigorosa e inflessibile. Non ho sgarrato mai pur arrivando a sognare, anche di giorno a occhi aperti, l’aroma del caffè e il gusto smielato di un cornetto ripieno. Poi ho reintegrato poco a poco alcuni alimenti e adesso posso perfino concedermi un caffè al giorno!
Quello che mi è rimasto di questa esperienza tuttavia è l’aver compreso quanto e come l’alimentazione possa influire sulla nostra salute. Quanto e come determinati alimenti siano di gran lunga preferibili ad altri (le farine non raffinate per esempio). Ciò non vuole dire che sia integralista. Mangio insalate di miglio con legumi per pranzo e pane nero spalmato di tahin per colazione. Ma all’occorrenza non disdegno un biscotto (uno!) ripieno di Nutella, un quadratino (piccolo) di lasagna o una fettina panata (di pollo o tacchino).
Solo che queste cose ora sono l’eccezione, lo sgarro, la “botta di vita”.
E non ne ho minimamente a soffrire. La mia battaglia continua, la lotta estenuante con me stessa e gli istinti più reconditi rimane, senza dubbio quella con i dolci.
Che ho imparato, sì, a stemperare, sedare ed educare mangiando verdure dolci cotte la sera (vellutate di zucca, zucchine e compagnia bella), frutta cotta con il kuzu (una radice giapponese dal forte potere alcalinizzante), semi oleaginosi e acidulati vari per compensare le ricadute, applicando qua e là anche nozioni di cucina macrobiotica.
Prendo il caffè amaro già da molti anni, ma in questo caso sono fortunata perché io amo visceralmente il sapore del caffè tanto da considerare lo zucchero un fastidioso intruso.
Però continuo ad emozionarmi davanti alla vetrina di una pasticceria, al video della preparazione di un dolce, all’immagine di un soffice ciambellone glassato.
Accade però sempre più spesso, che il gusto non corrisponda più alle aspettative. Senza accorgermene si è fatto più selettivo e adesso, quando le assaggio, le crostate con la marmellata industriale mi sembrano stucchevoli, i gelati smielati, i dolci in genere sempre troppo dolci.
Senza accorgermene ho educato parzialmente il mio palato, trovando per esempio nella cannella, e nel suo gusto naturalmente dolce e impetuoso, un validissimo alleato.
Mi stordisce e non ci penso più! Esagero naturalmente: ma è vero che aiuta moltissimo.
Qualche difficoltà in più subentra con il cioccolato e tutto ciò che gli ruota intorno.
Fondente, minimo al 72%, meglio se all’80. Ma come dire di no per esempio al gusto del gianduia? Quell’impasto delizioso di cioccolato e nocciole (e zucchero)? Anche qui, ho scoperto l’immenso potenziale delle creme di nocciole e di mandorle.
Provate a frullare 200 gr di nocciole con tutta la pellicina (non di meno altrimenti non viene) fino a che, superando lo stadio granuloso, non si trasformano in una crema paradisiaca fatta incredibilmente solo di…nocciole! Un sapore che appaga, mette il cuore in pace, riempie lo spirito e non fa rimpiangere proprio null’altro.
E così, se devo fare un dolce, lo scelgo senza burro, qualche volta senza uova, quando mi sento un po’ più pesante, senza lievito.
Fino a toccare le vette immaginabili dei dolci senza zucchero.
Una contraddizione in termini, ma solo all’apparenza.
Molte ricette “senza” che si trovano in rete, piene di belle promesse e sbandierate garanzie si rivelano deludenti, è vero.
Ma non è assolutamente questo il caso.
Una crostata naturalmente dolce, profumata, cremosa e dal gusto deciso e avvolgente che rende impossibile credere che veramente non contenga nemmeno un grammo di zucchero o di altro dolcificante, tantomeno di miele.
Le dosi della base sono in abbondanza per uno stampo da 26-28 cm di diametro. Ragione per cui avanzerà una porzione di impasto dal quale ricavare deliziosi e croccanti biscottini.
Insomma, non si può non provare. Se non altro per sfatare il mito che senza zucchero…non esista “dolce”!

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Nel video le dosi degli ingredienti sono indicate in “volumi”. Io ho trovato comodo appoggiarmi a una traduzione più precisa fatta dall’autrice di questointeressante blog, apportando solo piccole variazioni come la sostituzione del baccello di vaniglia (che non avevo) con la cannella, che tra le altre cose è un ipoglicemizzante naturale.


Ingredienti

Per la base:
250 gr di farina integrale
180 gr di uvetta sultanina senza solfiti
180 gr di mandorle con la pellicina
50 ml di latte di soia
5 cucchiai di olio extravergine d’oliva
1 baccello di vaniglia (o mezzo cucchiaino di cannella in polvere)
la scorza grattugiata e il succo di mezzo limone non trattato
1 cucchiaino di bicarbonato


Per la crema di mele:
200 ml di latte di soia senza zuccheri aggiunti
5 cucchiai di olio extravergine d’oliva
2 cucchiai di farina integrale
2 datteri denocciolati
1 mela
1 pizzico di sale
1 pizzico di bicarbonato
Scorza grattugiata di mezzo limone non trattato


Per la copertura:
2-3 mele
Cannella in polvere
Malto di riso (facoltativo)



Procedimento
Per prima cosa preparare la crema che andrà lasciata raffreddare. Tagliare la mela a cubetti e farla saltare in padella, a fuoco dolce, con l’olio, un pizzico di sale e un pizzico di bicarbonato. Aggiungere i due datteri tagliati a pezzetti, profumare con la cannella (o i semi di vaniglia) e coprire tutto con il latte di soia. 

Cuocere, mescolando, per 5 minuti, quindi togliere dal fuoco, aggiungere la scorza del limone, frullare tutto e lasciare raffreddare.
Dedicarsi quindi alla preparazione della base.
Frullare l’uvetta (non necessita di ammollo) insieme ai 50 ml di latte di soia, all’olio, al succo del limone e al pizzico di sale. Tritare finemente le mandorle e aggiungerle al composto.
In un’altra ciotola arieggiare la farina insieme alla scorza del mezzo limone e al bicarbonato.
Unire il composto di uvetta e mandorle alla ciotola della farina e amalgamare fino a ottenere un composto compatto e omogeneo. Se dovesse risultare faticoso da tenere insieme aggiungere progressivamente cucchiaini di latte di soia fino a raggiungere la giusta consistenza (nel mio caso non è stato necessario). Stenderlo sulla spianatoia infarinata a uno spessore di 3-4 millimetri, quindi trasferirlo in uno stampo spennellato di olio.
Rifilare i bordi e coprire con la crema di mele. 

Livellare e disporre a cerchi concentrici le mele tagliate a fettine sottili.
Cuocere la crostata in forno, preriscaldato, a 180° per circa 30-35 minuti e appena sfornata spennellarla con un cucchiaio di malto di riso (o orzo) sciolto in un cucchiaio di acqua. Questo la renderà lucida e bellissima!
Con la pasta avanzata sarà possibile realizzare dei biscottini che cuoceranno in 10-12 minuti di forno.
Lasciare raffreddare la crostata e conservarla in frigorifero.




martedì 5 maggio 2020

Toglietemi tutto… - Crostata di albicocche con frolla alla banana




È indubbio che le immagini da me prodotte in questo periodo abbiano tutte un aspetto piuttosto cupo. Scuro perlomeno.
Ma conferito da una buona causa (oltre al fatto di non avere la minima cognizione di come vadano posizionate le strisce led all’interno della pur fighissima lightbox): il cioccolato!
Perché se è vero che ho perseguito disciplinatamente la mia alimentazione sana, controllata e fatta di dolci (sì lo so che non dovrebbero essercene per niente) senza questo e senza quello, è anche vero che l’ossessione del cioccolato non si è sopita minimamente. Anzi, è andata di pari passo con le restrizioni imposte dalla quarantena. Più quelle si facevano stringenti, decreto dopo decreto, più la voglia di cioccolato saliva e si impossessava della mania di variare ogni singola ricetta, agendo per conto proprio.
Le variazioni poi si esplicavano perlopiù in un unico senso: sostituendo parte della farina con del cacao o infilandoci dentro direttamente la tavoletta di cioccolato sciolta.
Extra fondente naturalmente.
E quindi perlopiù ho cucinato dolci (ma va’?), non riscontrando significative variazioni, almeno in questo, rispetto alle mie abitudini di prima del lockdown. Sono stata anche fortunata perché non sfiorandomi minimamente l’ intenzione di dedicarmi a pane e lievitati non ho nemmeno avuto bisogno di individuare spacciatori di lievito.
Mi è bastata (e mi basta) la mia modesta scorta di lievito vanigliato per dolci: apri, giri, inforni e via.
Nemmeno il tanto tempo a disposizione ha scalfito la mia pigrizia in questo senso. E l’unica preparazione poco più elaborata in cui mi sono andata a compromettere è stata quella delle zeppole. Grandi soddisfazioni, eh? Ma credo mi basteranno per gli anni a venire e ne ho ancora due congelate nel freezer.
Per il resto ho continuato a giocare di sottrazione. Fino a voler provare a fare una frolla con le banane nell’impasto! Nelle mie intenzioni servivano a sostituire lo zucchero, ma quando spulciando in giro ho letto che mezza banana può sostituire un uovo in tutte le preparazioni dolci, ho pensato che avrei potuto prendere due piccioni con una fava.
Sostituire in un colpo solo zucchero e uova! Poi, ridimensionando le pretese  e volendo comunque produrre una cosa che almeno somigliasse a un dolce degno di questo nome ho aggiunto ben 7 datteri!
Il resto lo ha fatto la marmellata, ovviamente autoprodotta, ma in tempi non sospetti.
E via, di dolce in dolce, alla riconquista progressiva di una qualche normalità.
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Ingredienti
150 gr di farina di riso
100 gr di farina di farro
20 gr di cacao amaro in polvere
1 banana molto matura
7 datteri denocciolati (se sono molto piccoli calcolarne il doppio)
50 ml di olio di riso (o di semi)
40 ml di acqua a temperatura ambiente
1 cucchiaino di cremor tartaro
Inoltre
Un vasetto di confettura di albicocche


Procedimento
Innanzitutto frullare con il minipimer i datteri e la banana insieme all’olio e  all’acqua. Amalgamare in una ciotola le farine, il cacao e il lievito. Unirvi progressivamente il composto liquido lavorando dapprima con una forchetta poi, quando avrà raggiunto una maggiore consistenza, direttamente con le mani fino a ottenere un composto omogeneo. Ungere uno stampo da crostata e stendervi all’interno, con le dita, un terzo dell’impasto rialzandolo bene sui bordi. Riempire con marmellata a piacere, decorare con le strisce e cuocere in forno già caldo, a 180° per circa 35-40 minuti


mercoledì 30 maggio 2018

Abbondiamo - Crostata al cioccolato, caffè e nocciole (senza burro e senza latte)



Lunghi arrovellamenti, nottate di dissertazioni e proiezioni ortografiche.
Che nulla poteva essere lasciato semplicemente al caso.
O alla natura.
Ma a un certo punto della vita bisogna evolversi, compiere scelte anche difficili. Migliorarsi.
Stabilito il come, quando e soprattutto quanto, sono iniziate le grandi manovre:
traslochi delle piante in vaso, con relativo su e giù fra giardino e balcone al primo piano; messa in letargo dei bulbi di ciclamini, dopo averli salvati da morte certa (sembravano torsoli secchi: stavo per buttarli via); le tartarughe mandate a ricovero nel giardino dei miei (quelle poi scavano, si ruzzolano, brucano e almeno per i primi tempi teniamole alla larga).
Che quasi quasi le avrei seguite.
Dopodiché si è dato il via al dissodamento del terreno. A suon di micro-zappettate e bucolici spargimenti di nuovo, più fertile terriccio.
Concimazione, ammirazione commossa del lavoro svolto e autosomministrazione di pacche sulle spalle.
Per approdare impazienti (lui) e grati (io), al momento clou di tutta la faccenda, quello in cui, rullo di tamburi, fanfara riunita, parata di bersaglieri a cavallo, si è dato il via alla semina.
Prenderà?
Perché non dovrebbe? Almeno si tenta.
Ma le rassicurazioni sommarie con l’amato bene non funzionano.
Lui è quello delle certezze assolute, dei ragionevoli dubbi. Oltre i quali ovviamente andare.
Ed è così che lo vedo affannarsi a leggere, dare i numeri, calcolare minuziosamente la quantità di semi esatta per metro quadro di micro giardino.
Mah, forse abbiamo esagerato nell’acquisto – azzardo nemmeno troppo convinta, ignara come sono della faccenda, rigirandomi tra le mani una delle due scatole da 1 kg di semi “sufficienti per 40 metri quadri”.
E soppesando a  occhio le nostre aiuole che, proprio a voler esagerare raggiungeranno, toh, 5 metri quadri? Ma proprio a volersi tenere larghi e sognare a occhi aperti.
E arriva il momento decisivo. Quello in cui, dati alla mano, prende a spargere a piene mani e con fare sicuro, il prezioso, futuro praticello.
Insomma, quanto ne andava messo, alla fine? – chiedo per curiosità.
30/40 grammi per ogni metro quadro…Ma io non ci credo!
Sarà per questo che sul terreno delle piccole aiuole ha rovesciato i semi di tutte e due le scatole. Senza tralasciarne nemmeno uno.
Giardini del Castello di Windsor e della Casa Bianca riuniti, scansateve proprio.



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Questa crostata l’ho adocchiata qua e subito avuto voglia di provarla. Ovviamente modificando zucchero, farine, olio e aumentando di un po’ la quantità di amido, visto che la crema non si addensava. Al secondo tentativo e con queste quantità è venuta talmente bene che a forza di assaggiarla mancava poco che finisse prima ancora di andare a ricoprire la crostata ;-)

Ingredienti
Per la base
3 uova
130 g di zucchero di canna
120 g di olio di riso (o di semi)
3 cucchiai colmi di cacao amaro
450 g di farina di farro
8 grammi di lievito per dolci
I semi di mezza bacca di vaniglia (o 1 bustina di vanillina)
Per la crema
350 ml di latte di riso (o altra bevanda vegetale)
100 g di zucchero di canna
35 g di amido di mais
2 cucchiai colmi di cacao amaro
1 cucchiaio di caffè solubile
Per la copertura
Granella di nocciole


Procedimento
Come prima cosa preparare la crema: mettere a scaldare il latte e in un altro pentolino versare lo zucchero, l’amido, il cacao e il caffè solubile. Mescolare con cura, aggiungere il latte caldo a filo e mettere tutto su fuoco dolce continuando a mescolare con una frusta finché non si addensa. lasciarla raffreddare e dedicarsi alla preparazione della base.
Riunire in una ciotola la farina con il lievito, la vaniglia, il cacao e lo zucchero. Mescolare tutti gli ingredienti, creare un cratere centrale e romperci dentro le due uova. Sbatterle leggermente iniziando a  incorporare farina dai bordi. Unire l’olio e lavorare l’impasto finché non si otterrà un panetto solido e omogeneo.
Trasferirlo su un piano di lavoro infarinato, prelevarne ¾ e stenderlo.
Disporlo in una teglia oliata e infarinata e riempirlo con la crema al caffè. Usare l’impasto rimanente per creare una decorazione (le classiche strisce o delle formine ricavate con un coppapasta); cospargere di granella di nocciole quindi cuocere, in forno preriscaldato, a 180° per 35-40 minuti.



martedì 20 giugno 2017

Soluzioni - Crostata di albicocche con frolla veg (senza burro e senza uova)


Amiamo le sfide, i grattacapi, i risvolti che più rognosi non si potrebbe.
Anche la cosa più semplice in questa casa diventa fardello, montagna da scalare, ostacolo insormontabile. Che poi, a forza di sbatterci la testa, sormontiamo.
Terminati i lavori sono iniziate le grandi manovre di aggiustamento.
Riverniciamo i vasi.
Spostiamo quel mobile.
Riadattiamo quell’altro.
Traslochiamo intere camere per invertirle.
Lo studio al posto della camera da letto la camera da letto al posto dello studio.
Che pare facile, così a dirlo.
Ma poi ciò comporta smantellare un’intera scrivania e conseguenti fogli, foglietti, appunti, agende, faldoni, quaderni, penne, matite, mozziconi delle une e delle altre.
Oltre naturalmente alla libreria e a tutto il suo contenuto.
Smantellare e ricomporre.
E che fai, na spolverata uno per uno ai libri non gliela dai, vista l’occasione?
Già che ci siamo smontiamo pure il cassettone del letto per pulirlo minuziosamente.
E riposizioniamo al suo interno tutto il corredo tramandato da generazioni di donne dall’ottocento a oggi.
Intoccabile e immacolato come tradizione comanda.
Che non butti per riguardo ma che in frangenti come questo ti suscita tante domande.
Poi arriva la camera da pranzo nuova e il nuovo armadio per l’attuale studio/guardaroba.
Che uno dice evvai, arrivano montano tutto loro e te saluto.
Questo nelle case normali.
Da noi funziona diversamente.
Tanto per cominciare l’armadio va al piano superiore e gli omini di Mondo Convenienza appena vedono la scala scuotono la testa asserendo che nun se po’ fa. Troppo stretta. La cabina armadio non ci passerà mai.
Embè la facciamo passare dal balcone. Vi do una mano io -  si offre volontario l’amato bene.
Non siamo autorizzati a farlo - è la risposta pacata del capetto.
Breve telefonata al numero verde e l’autorizzazione – magicamente- giunge.
Passiamo ai mobili del salotto.
Una composizione a parete acquistata in offerta che però noi abbiamo pensato bene di scomporre e adattare a gusto nostro un pezzo qua e un pezzo là.
Nun se po’ fa’ – risentenzia il capetto dei Traslocatori
La possiamo montare solo come da catalogo (quando si dice essere elastici!)
Ok, lasciatela così che ci pensiamo noi -  si arrende questa volta l’amato bene.
Ed è così che, armati di ogni attrezzo possibile, compresi l’indispensabile livella e il vitale avvitatore elettrico, passiamo l’intero sabato e anche l’intera domenica ad assemblare mobili come nemmeno all’Ikea per il rinnovo dell’esposizione.
Caricandoceli sulle spalle, tenendoli fermi per segnare punti di riferimento in cui fare buchi per gli stop, appendendoli e ritirandoli giù un migliaio di volte per verificarne tenuta, correttezza di posizione, estetica.
E chiederci un milione di volte se risultino storti per un loro marchio di fabbrica, a causa del muro non a squadro, del pavimento in pendenza o per incapacità nostra di fondo.
Comunque, alle 21:30 di domenica sera, con 2 costole incrinate, la cervicale andata e nessun muscolo risparmiato, poniamo fine alle grandi manovre dichiarandoci abbastanza soddisfatti del risultato.

Ora mancano da riverniciare il tavolo e le sedie, costruire un mobiletto per la lavatrice, montare alcune luci, chiudere il sottoscala, avvitare, smontare, rimontare…
Ah e poi magari, con molta calma, ritirare giù tutti gli scatoloni e rimettere ogni cosa, piatti, bicchieri e posate comprese, al suo posto.
Ma mi sento di dire che per il momento possiamo tranquillamente continuare a mangiare nei piatti di plastica.

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In tutto ciò, nel via vai di traslocatori, cabine armadio che fluttuavano tra giardino e balcone, smadonnamenti e fatiche improbe, io raccoglievo le ultime albicocche dell’albero, facevo altri sei barattoli di marmellata e preparavo una crostata sperimentando un nuovo tipo di frolla, leggera e buonissima. Da una ricetta di Marco Bianchi, con qualche modifica personale . Senza burro pure pure, ma senza nemmeno le uova non immaginavo potesse venire così buona. La farina di riso inoltre le conferisce quella friabilità che la rende irresistibile. Provatela: non vi farà assolutamente rimpiangere la frolla tradizionale. Magari in un attimo di calma, senza traslocatori in giro per casa ;-)


Ingredienti (per uno stampo da 23 cm di diametro)
200 gr di farina di farro
70 gr di farina di riso
80 gr di zucchero integrale di canna
60 gr di acqua a temperatura ambiente
60 gr di olio di semi di girasole
1 cucchiaino di lievito per dolci
Scorza di limone non trattato
300 gr di confettura di albicocche (per la ricetta qui)


Procedimento
Sciogliere lo zucchero nell’acqua, aggiungere l’olio e la scorza del limone grattugiata, quindi unire progressivamente le farine setacciate con il lievito e mescolare bene fino a ottenere un panetto liscio da lasciare riposare in frigo per circa un’ora (anche meno se non avete tempo).
Riprendere la frolla, stenderne ¾ nello stampo oliato (è morbida e si stende agevolmente con le dita), ricoprirla di marmellata quindi decorarla con le strisce ricavate dalla pasta rimanente. Cuocerla in forno preriscaldato a 180° per 30-40 minuti.

-In questo periodo a noi piace molto conservarla in frigo e gustarla fredda.

martedì 16 agosto 2016

Sorpresa in codice - Crostata di yogurt con crema di soia e frutta



Dunque è andata che il 13 agosto mi sono svegliata, come da abitudine ormai consolidata, rigorosamente per ultima.
A sole già alto e posti auto fronte mare già esauriti da un pezzo.
La colazione pronta in veranda, con le fette pure già spalmate di marmellata.
Sì, se avessi trovato pure una bomba alla crema sarebbe stato anche meglio, ma lamentarmi non potevo di certo.
Solo che io prima di fare colazione bevo un bicchierone d’acqua e quello sul tavolo non c’era.
Rientro in casa leggermente contrariata, che se devi farmi trovare la colazione pronta non puoi dimenticare certi dettagli, ed è allora che accanto alla macchina del caffè scopro il primo regalo della giornata!

Già che ci sia un biglietto allegato mi pare un miracolo.
Che la busta sia regolarmente comprata e non fabbricata con carta di giornale/busta del supermercato/involucro delle uova/sacchetto di KC1 con ancora residui di calce all'interno è fonte di ulteriore stupore.
Che si tratti di una cosa così voluminosa poi accende tutte le possibili lampadine nella mia testa.
Nessuna però decisiva.
Posso aprirlo subito o devo aspettare stasera?
E non è che mi sconsigli di farlo, lascia a me la scelta.
Siccome però oltre che smodatamente curiosa sono anche atterrita da quello che, conoscendo lo spirito burlone del tizio, la busta potrebbe contenere, forse è meglio scartare il regalo subito in privato, verificare, ed eventualmente decidere con calma se condividerlo con gli ospiti durante la serata.
Magari posso pure indossarlo.
Sarà un vestito?
Un paio di scarpe?
Leggero è leggero.
Forse un pareo!
Ma le supposizioni si sprecano e intanto la busta svela una scatola che mi pare quella di una camicia.
Da uomo.
Decido di partire dal biglietto, ma è oltremodo, stranamente, serio e profondo.
Sul tema del tempo: le fatiche del passato da lasciarsi alle spalle, il futuro da guardare con fiducia e ancora il mistero fitto su questo regalo però pensato esclusivamente per me, con tutto il cuore.
Piango.
Ma intanto scarto.

Un trito di fogli mi accoglie sornione.
Allora scavo e trovo una busta.

Apro e ne trovo un’altra.

Apro e ne trovo un’altra ancora (intanto verifico che pure in tedesco abbia scritto bene)

Riapro e trovo l’ultima (Nel frattempo revisiono: pure i cuori ha disegnato discretamente)

Che contiene una serie di fogli, con sagome di vario tipo ritagliate a mo’ di origami.

Fogli scritti.
Ricompongo il puzzle ma il mistero non si svela ancora perché le scritte sono…in codice!
Un codice a noi noto e piuttosto semplice, di quando da fidanzati ci scrivevamo fiumi di lettere così (con coraggio, fantasia e tanto tempo da perdere!) ma io mi ci impiccavo allora, arrendendomi di solito alla prima parola, e continuo ad arrovellarmici adesso che fremo e voglio sapere e non ho intenzione di stare qua mezza mattinata a decifrare.
Che cos’è?
Il mutismo ostinato dell’amato bene non lascia spiragli.
Devo cavarmela da sola.
Dunque mi armo di alfabeto per decrittare e comincio lo studio.
Il titolo già promette molto bene:
Programma di viaggio o, in alternativa, Sagra del carciofo
(a mia insindacabile scelta)
Capisco che è un viaggio prenotato per aprile 2017, presumibilmente nel periodo in cui si svolge la Sagra di cui sopra di cui sono un’accanita fan.
Uh, bello.
Sorrido a denti stretti pensando a quei 5 giorni in Spagna di cui s’era parlato nemmeno un mesetto fa.
Certo che però poteva pure scegliere un altro periodo mannaggia a lui: giusto quel fine settimana?
Ma proseguo coltivando dentro la speranza che si sia sbagliato e magari la minivacanza-regalo non capiti proprio a cavallo del weekend carciofesco.
Che poi ammazza: cinque fogli di programma, per un weekend lungo, mi paiono eccessivi.
Ma sicuramente si sarà voluto divertire e avrà stilato un programma superdettagliato per farmi friggere il più possibile nella mia curiosità (e smadonnare con l’alfabeto segreto).
Sillabando come una disperata leggo: Volo Finnair da Roma Fiumicino delle ore undici:quarantacinque (perché anche i numeri sono tutti scritti in lettere!) per He….He…lsi..n…chi.
La kappa non c’è nell’alfabeto, ho dovuto scrivere ch.
Helsinki!
Caspita, mi ha stupita.
Anziché la Spagna ha scelto il Nord Europa.
Magari facciamo i fiordi norvegesi?
Le repubbliche Baltiche??
Continua a tacere.
Ma certo la prima frase, relativa alla data di mercoledì 17 aprile 2017 effettivamente non è terminata.
Continuo a tradurre.
Volo Finnair delle ore diciannove:venti per….O…sa…ch…a
Che d’è?
E ho bisogno (a parte di sedermi e bere il bicchiere d'acqua per il quale ero entrata in cucina) di tradurre il programma del giorno successivo per comprendere a fondo che anche questa città misteriosa è solo uno scalo, seguito dall’orario della partenza di un treno diretto a Chioto.
Chioto?
Beh, non c’è nemmeno la ipsilon nell’alfabeto.
Kyoto.
Kyoto!!!!
Spiccico definitivamente gli occhi e mi affanno nel resto della lettura.
Per la quale impiego la bellezza di 45 minuti, non uno di meno, al termine dei quali però mi si svela nella sua interezza il fiabesco itinerario di 15 giorni in giro per la terra nipponica con partenza da Osaka e approdo finale a Tokyo.
Salto e zompetto dimenticando acqua, colazione e Sagra del carciofo.
Quindi chiedo i dettagli, scoprendo che alla pratica prenotazione di voli/alloggi/treni come a quella di stilare l’intero programma in uno stupido ma affascinante alfabeto segreto stava cospirando e lavorando da marzo.
Tutto in segreto
Tutto da solo.
Ho capito due cose:
1) che non è poi così male compiere 44 anni.
2) che per questa volta posso anche rinunciare alla Sagra del carciofo.



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La frolla allo yogurt non è una scoperta attuale: la conoscevo e mi piaceva. Quella con yogurt di soia ai mirtilli però sì: ed è stata per me una grande scoperta. Perché regala al dolce un profumo unico. La crema a base di latte di soia non ha nulla da invidiare a quella pasticciera preparata con latte vaccino. La frutta di stagione, specie le more raccolte direttamente in giardino, fa il resto.

Ingredienti (per uno stampo da 26cm)
Per la base:
350 gr di farina di farro
100 gr di zucchero grezzo di canna
75 gr di yogurt di soia ai mirtilli
75 gr di olio di semi
2 uova
1 bustina di vanillina
½ bustina di lievito
1 pizzico di sale
Per la crema:
500 ml di latte di soia al naturale
3 tuorli
80 gr di zucchero di canna
40 gr di amido di mais
1 bustina di vanillina
Per farcire e completare:
frutta a piacere (io ho utilizzato mirtilli, more, ribes, uva e palline di anguria)
1 bustina di gelatina per torte


Procedimento
La base, come la crema, può essere preparata comodamente il giorno prima ma consiglio di assemblare tutto il giorno in cui la torta deve essere consumata.
La crema andrà conservata in frigo e la torta in un portatore o su un vassoio, coperta da carta stagnola.

Partiamo dalla base: setacciare la farina con il lievito e la vanillina. Unire lo zucchero e un pizzico di sale; mescolare e creare un cratere al centro in cui versare le uova, l’olio e lo yogurt. Impastare prima con la forchetta poi a mano fino a formare un panetto compatto ed elastico.

Stenderlo su un piano con un matterello, disporlo in uno stampo ben oliato e bucherellarlo con i rebbi di uan forchetta. Coprire con un cerchio di carta forno quindi cospargere di legumi secchie  cuocere in forno preriscaldato a 180° per circa 20-25 minuti (gli ultimi 5 minuti ho tolto carta e legumi e infornato nuovamente la base senza niente sopra perché mi sembrava ancora un po’ morbida). Lasciare raffreddare bene prima di togliere dallo stampo.
Nel frattempo preparare la crema: mettere i tuorli in un tegamino che poi andrà sul fuoco e mescolarli allo zucchero con l’aiuto di una frusta. Incorporare l’amido di mais insieme alla vanillina continuando a mescolare, quindi il latte di soia a filo. Cuocere su fuoco moderato mescolando spesso finché non si addenserà, dopodiché rovesciarla in una ciotola e lasciare raffreddare completamente.

Assemblaggio: ricoprire la base di crema e decorare a piacere con la frutta preferita. Seguire le istruzioni sulla confezione di gelatina per prepararla, ricoprirla completamente  conservare in frigo fino al momento di servirla.

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