Arrivano dal bagno le note dello stornello romanesco di cui
l’amato bene è un grande estimatore.
E arrivano appropriate, pertinenti, mai più azzeccate.
Mi ci rivedo in pieno in quell’accorata preghiera in musica
col cuore in mano:
“tiemme na mano ‘n
testa pe’ di’ de noooooo” (= all’istinto di insultarlo, dicendogli, per
esempio, che non si può comporre uno scatolone che contenga, come recita il
biglietto incollato fuori: “fotografie/documenti/soprammobili camino e 1 anfibio”. Non si può. Nemmeno se
l’anfibio serviva a “riempire un buco”. E la stessa sorte, si badi bene, è
toccata a infradito/ciabatte invernali e da piscina: spaiate forse per sempre,
all’unico, strampalato scopo di riempire vuoti…).
Roma nun fa la stupida
stasera quindi mi entra forzatamente in testa trasformandosi nella vibrante
supplica di frenare eventuali istinti brutali.
Al di là del fatto tuttavia che l’evento trasloco esponga al
rischio di divorzio un giorno sì e l’altro pure, vivere in una casa quasi vuota
offre i suoi innumerevoli vantaggi.
Tanto per cominciare non bisogna spolverare.
E al massimo la questione si riduce al passaggio veloce di
uno straccio su un ripiano, senza incontrare ostacoli.
Quindi un mobile tipo la libreria, che anche solo decidere
di spolverarlo richiedeva un atto di coraggio fuori dal comune, adesso è una
passeggiata di salute.
Anche perché ora la libreria non è più tale ma ha assunto lo
status di “quartier generale”, il luogo cioè in cui confluiscono materiali di
vario tipo utile alle operazioni di inscatolamento.
Altro vantaggio è quello di poter usare il forno con una
libertà quasi sconosciuta.
Prendi, accendi e inforni.
Non lo devi preliminarmente svuotare di tutti gli stampi che
di solito lo invadono perché non si sa dove altro metterli.
Questa condizione, per esempio, mi era quasi del tutto sconosciuta.
Si scoprono altri sistemi di vita, vengono rase al suolo
abitudini secolari e sradicati solchi mentali atavici.
Tipo che l’insalata la devi mettere per forza nella solita
ciotola un po’ sbeccata che usi da anni e girare per forza con “le posate da
insalata”.
Messe via sia l’insalatiera sia le posate specifiche, ti adatti con
quel che c’è.
E scopri che la puoi mangiare lo stesso!!
Che sopravvivi.
Oppure che mentre prima avevi uno stock di canovacci sparsi
per la cucina, più grembiule, più pezzette e spugne varie, tutti assolutamente
vitali, scopri che anche solo un paio di questi più: 1 pezza e 1 panno giallo
riescono agevolmente a coprire tutte le esigenze e placare tutte le ansie.
Che non serve un servizio da 12 tazzine di caffè, ma le due
rimaste sono più che sufficienti.
Che per cucinare bastano 1 padella e 1 pentola.
E l’intera batteria riposta quasi te la dimentichi.
Quasi.
Poi ti coglie il raptus.
È come un gioco al rialzo, una sfida contro il tempo.
Lo stampo per ciambellone lo imballiamo per ultimo.
Lo sbattitore elettrico potrebbe servirmi fino alla sera
prima del trasloco.
Sì ma se ho messo via tutte le caccavelle, dove le sbatto le
uova con lo zucchero?
Dettagli, perché è così che si producono dolci pure
nell’inferno di plastica e cartone.
Con quel che c’è.
e andranno bene pure 5 fette di limone spiaccicate sopra come "decorazione".
Ce la facciamo andare bene, mi ripeto che è bellissima, arrivo a convincermene perfino.
Certo non ho sfondi, tovaglie, carte colorate, pannelli, nastri e fiori per allestire set fotografici.
Non so bene nemmeno dove appoggiarlo il dolce.
Ma la sommità di uno scatolone sarà pur sempre un piano
d’appoggio.
(dopo averlo fotografato sul mobiletto del bagno)
Non sono mancati nemmeno i fiori per la festa della donna (sì, non è sempre e solo da insultare l'amato bene...e toh: siamo già a marzo? e la Violaciocca a ricordarci che è pure quasi Pasqua...).
Perché anche se non si sa dove collocarli ci si può sempre
attrezzare.
E donano sempre picchi di felicità.
E donano sempre picchi di felicità.
Mica servono per forza vasi.
E sempre cercando strade, soluzioni e collocazioni, abbiamo
preso pure un aereo andata e ritorno in giornata per il Piemonte.
Imbarco/decollo/volo/atterraggio/sbarco: tutto alla velocità
della luce.
E poi pullman/treno/metropolitana/tratti a piedi/visita
medica, che era poi lo scopo della gita (come se non ci fossero medici a Roma, ma io volevo proprio quello).
Ri-pullman/ri-treno/ri-metropolitana/imbarco-sbarco: olpà di
nuovo a casa!
Tutto dall’alba a poco prima del tramonto.
(peccato, mancava giusto un giro in battello)
Ma è stacco, svago, sole, novità. Ci voleva perfino.
E pazienza se da oggi toccherà cambiare stile di vita:
niente questo/niente quello/niente di niente di tutto ciò, ovviamente, che più piaceva.
Caffè, cioccolato, aceto, menta e mentine.
Dolci e dolcetti.
Pasta pane e pizza.
Ma sono dettagli.
Casa nuova, vita nuova.
E per una volta, strano ma vero, sono esattamente dove
volevo essere.
(Poi per anfibi e infradito, è tutta un’altra storia)
@@@@@@@@@@@@
Io non avevo mai usato la farina di riso prima d’ora. Non
conoscevo nemmeno “ il ciambellone più soffice del mondo di Adelaide Melles” di
cui lei parlava nel post. Figuriamoci la versione con dentro la marmellata. Con
la marmellata avevo fatto una torta morbida e un plumcake, questo sì, ma
mettere dell’acqua nell’impasto di un ciambellone, mi mancava proprio.
Quando ho letto di questa torta quindi, con ingredienti e
passaggi a me totalmente sconosciuti e perlopiù stranucci, non mi sono proprio potuta esimere.
Ho avuto dubbi sul
quantitativo di zucchero, che mi sembrava eccessivo (la stessa quantità della
farina!) ma mi sono fidata come sempre faccio con le sue ricette e ho fatto
molto bene!
Ho superato le perplessità sulla glassa, io che le glasse
non le amo per niente (a meno che non siano di cioccolato!) e ci ho schiaffato,
diligentemente, pure quella.
Unica eccezione la marmellata di arance amare anziché di
limoni, ma giusto perché ne avevo un barattolo aperto in frigo.
Per il resto: altra straordinaria rivelazione! Un
ciambellone che più soffice non potrebbe essere, umido ma senza l’effetto di
“poco cotto”, praticamente una nuvola di gusto e di bontà.
Fino a che non l’ho provato, non ci credevo: la consistenza
mi ha davvero stupita e conquistata definitivamente (ancora una volta: grazie
Claudia!! E questa ricetta, d'ora in poi, dovendo usare solo farine alternative a quella di grano, mi sarà più utile che mai!)
Ingr.: (per uno stampo a ciambella diam. cm. 23)
3 uova
3 uova
gr. 250 di zucchero semolato di canna
gr. 130 di olio di semi di mais girasole
gr. 130 di acqua
gr. 250 di farina di riso
gr. 130 di acqua
gr. 250 di farina di riso
1 bustina di lievito vanigliato
1 bustina di vanillina
gr. 250 di Fiordifrutta limoni Arance amare Rigoni
di Asiago
1 pizzico di sale
per la glassa:
gr. 40 di zucchero a velo
gr. 60 di zucchero semolato leggermente
frullato (questa è stata una mia scelta, per avere l'effetto
"scrocchiarello", ma potrete decidere di utilizzare direttamente gr.
100 di zucchero a velo, per una glassa normale)
succo di 1/2 limone
limoncello
Preparazione:
In una ciotola con le fruste elettriche, sbattere le uova
con lo zucchero e il pizzico di sale per circa 10 minuti, così da ottenere un
impasto chiaro e gonfio. Aggiungere poco per volta la marmellata e a filo anche
l'olio e l'acqua. Unire infine la farina setacciata con il lievito e versare in
uno stampo precedentemente unto ed infarinato.
Cuocere in forno già caldo a 180° per circa 40 minuti
facendo sempre la prova stecchino.
Appena sarà freddo, toglierlo dallo stampo e guarnirlo con
una glassa preparata con lo zucchero, un goccio di succo di limone e uno di
limoncello.