La cosa più
difficile in questo periodo così assurdo di privazione totale della libertà è
sedersi al pc e scrivere. Infatti ci riesco solo ora, dopo un mese e poco più.
Da quando ho
smesso di lavorare (ultimo giorno: mercoledì 4 marzo 2020) e quindi di prendere
il treno per raggiungere i “miei bambini” e farmi trascinare nel loro mondo
fatto di gioia e semplicità e da quando ho smesso di andare in palestra (ultimo
giorno: lunedì 9 marzo 2020) io non riesco più a stare ferma.
Da quei
momenti cruciali in poi, fino all’ufficializzazione della chiusura totale, con
una gabbia che abbiamo visto stringersi sempre di più intorno a noi, è stato
tutto un profluvio di azioni e movimento.
Pulizia
della casa innanzitutto: tiratura a lucido di ogni superficie possibile,
ripetuta, inventata, spartita per camera e oggetto. Le tende, le tazze, sopra
gli armadi, all’interno degli stipetti della cucina e del bagno.
Movimento
fisico in seconda battuta, ma come primo
pensiero della giornata: i video tutorial del maestro condivisi in rete
e via whatsapp sono solo la traccia da cui si dipanano flussi personalizzati di
yoga/posturale/funzionale. Dieci minuti di riscaldamento canonici, sanciti dal
cronometro dello smartphone, sulla base di ricordi nitidi di ciò che si faceva
in palestra (in tanti anni avrò pure imparato qualcosa? No, vuoto totale, tutto
buio, fammi vedere un tutorial); 30 minuti di allenamento intenso fra squat,
crunch, burpees, chiusure laterali, affondi, controaffondi, squat monopodalici,
che innanzitutto impariamo sti nomi poi facciamoli; per arrivare ai 10, anche
15 minuti finali di rilassamento che è un po’ yoga un po’ posturale e magari ci
scappano ancora un paio di saluti al sole.
Il mio
risveglio è così: razionale, controllato, programmato.
Pura azione.
Poche ciance.
Sveglia un
po’ più tardi del solito, sì, ma mai oltre le 8 durante la settimana. Per
autodisciplina, per creare una routine, per non affacciarmi nemmeno per un
secondo sul baratro dell’inerzia e dormire con più gusto il sabato e la
domenica, giorni che DEVONO continuare a
distinguersi da tutti gli altri, per la sopravvivenza in una quotidianità che
livella tutto, omologa tutto, appiattisce tutto. Che amplifica tempo e
sensazioni.
Euforia e
sconforto, positività e paura, ansia e fiducia, come onde che vanno e vengono
senza sosta.
E via, si
organizza la spesa. Per noi, per i genitori anziani, manca sempre qualcosa,
pazienza, ci si fa flessibili, si trovano soluzioni, si impara a lasciare
andare. Laddove tutto va, tutto è risucchiato in una fumosità surreale. E
diventa inafferrabile. I pensieri, soprattutto, che si fanno macigni, se
sfuggono al controllo.
Guanti,
mascherina, abiti (tuta da ginnastica!) da togliere subito una volta rientrati
a casa e lasciare fuori. Mani screpolate a forza di lavarle, odore di spirito,
di amuchina (quel che rimane del flaconcino di gel dei viaggi, ricordi di
momenti felici e spensieratissimi: che assurdo contrappasso), di vuoto.
Facce a
metà, occhi angosciati, terrorizzati, diffidenti come minimo, in fila davanti
al supermercato. Preghi di non incontrare nessun conoscente che parlare da
dietro la mascherina è assurdo e complicato e sembra sempre di spandere
inutilmente goccioline di contagio.
Il mondo fermo,
a motori spenti, unito nella battaglia contro un unico, invisibile nemico.
Siamo tutti uguali, per la prima volta nella storia. Tutti protagonisti, con la
stessa angoscia, la stessa paura, lo stesso tangibile, smisurato punto
interrogativo ad aleggiare sopra la testa, che pare quasi di vederlo.
Disciplina
nel gestire le informazioni. Tv spenta o al massimo sintonizzata su tutto ciò
che non è “Corona Virus”, per distrarsi, ma tanto poi non ci si distrae e
allora meglio spenta. Si accende alle 18, per il bollettino ufficiale, le
notizie del giorno, la speranza di ascoltare notizie che facciano tornare a
respirare. Interrompendo l’apnea nella quale viviamo. Ma non è così, quindi
via, si spegne. Sempre con quel peso sul cuore che non s’attenua neanche un
po’.
I social
un’ora dopo, quando il sindaco parla dalla sua pagina facebook aggiornandoci su
nuovi contagi, vittime, nuove disposizioni.
E per
sgridarci. Siamo tornati tutti bambini, tutti colpevoli, tutti responsabili di
una cosa che nemmeno capiamo cosa sia.
Eppure siamo
murati vivi da oltre 10, 20, mille giorni, ci affacciamo dal balcone e le
strade di questo minuscolo paesino di mare sono vuote e desolate. Stai a vedere che la colpa di
tutto questo disastro è di quei poveri cristi che escono a camminare 200 mt intorno
a casa o a portare fuori il cane. Come se l’incapacità di gestire una
situazione nuova, drammatica e più grande di ognuno di noi dipendesse veramente
da uno che si concede, da solo, una corsa sotto casa.
E comincia
una caccia alle streghe surreale quanto la pandemia. Fatta di appostamenti, di
foto rubate e pubblicate a tradimento, di una pratica infantile ma trasversale
come quella di fare la spia. “Sindaco intervenga, che davanti alla tabaccheria
oggi c’era una fila di gente per comprare i gratta&vinci”.
E tu che ci facevi lì?
Che ne sai?
Come ti
permetti di giudicare?
Tutti nemici
di tutti, una guerra tra poveri, la frustrazione della reclusione, quella
sottile malvagità che in fondo alberga in ognuno di noi e che non ci fa
ritenere sufficiente fare la nostra parte.
Dobbiamo
vedere e toccare con mano che tutti la facciano, arrivando alla violenza,
fisica e verbale, se questo non accade. Smettendo di farla, se necessario.
Vomitando
rancore e frustrazione.
Ecco, ci
scopriamo tutti nemici di tutti, pur nell’uguaglianza suprema della stessa
angoscia che accomuna tutti, da nord a sud, da est a ovest del mondo.
E intanto
passano i giorni, si allungano i capelli, si infittiscono le sopracciglia, si
storpiano un po’, nel tentativo di rimediare, che certo mica si può stare così
in attesa che riaprano estetiste e parrucchieri.
E passano la
festa del papà, compleanni importanti e perfino Pasqua e Pasquetta. Tutto isolati,
tutto ognuno a casa propria.
Si studiano
modi ugualmente belli di coccolarsi, perfino di stare insieme, anche se
attraverso uno schermo.
Mancano gli
abbracci, i baci, le cene tutti insieme, i caffè al bar e perfino prendere il
treno.
Si vive
giorno dopo giorno, minuto per minuto, che anche fare progetti pare assurdo.
Eppure qualcuno
tocca farlo, o almeno cambiarlo. Come quello di partire per un viaggio
prenotato un anno fa.
Si naviga a
vista. E si coltivano ironia e gentilezza.
Una per
scacciare il pianto, l’altra per accorciare le distanze.
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E poi si
cucina. Tanto, di tutto, con più attenzione e più cura. Stando sempre molto
attenti all’alimentazione, certo, ma anche sgarrando un po’.
Per esempio
preparando per la prima volta in tutta la mia vita le zeppole di san Giuseppe. Nella
duplice versione al forno e fritte.
Per fare
contenti papà, suocero, marito. Mentre fino a poco fa sarebbe bastato chiamare
in pasticceria per ordinarle e passare poi a ritirarle, che chi ce l’ha il
tempo di farle in casa? Ed eccole qua, le mie zeppole della quarantena. Con un
giorno di ritardo, nella preparazione, fuori tempo massimo nella pubblicazione
della ricetta, ma con una soddisfazione enorme. Che poi dove sta scritto che si
possono fare solo per il giorno di San Giuseppe?
Ho seguito
questa ricetta,
anche per la crema pasticciera fatta con le uova intere. Ecco, quest’ultima non
mi è piaciuta e per la prossima volta mi riservo di usare la ricetta
tradizionale della crema fatta di soli tuorli, ma per il resto, la pasta è venuta
perfetta sia fritta sia al forno, anche apportando trascurabili variazioni.
Ingredienti (per 12 zeppole)
Per le
zeppole
150 g di
acqua
150 g di
farina
100 g di
burro
5 uova medie
1 cucchiaio
di grappa (facoltativo)
Un pizzico
di sale
Per la
crema pasticciera
1 litro di
latte
4 uova
8 cucchiai
di zucchero (160g)
8 cucchiai
di farina (140g)
Scorza di 1 limone
Inoltre
Olio di semi
di arachidi per friggere
Zucchero a
velo
Sac a poche
con punta a stella
Procedimento
Preparare innanzitutto
la crema. Mettere a scaldare il latte insieme alla scorza di limone tagliata a
strisce grandi (per poterle poi eliminare).
Rompere le
uova (intere) in una pentola capiente. Unire lo zucchero e la farina setacciata
e mescolare con l’aiuto di una frusta.
Quando il
latte è bollente unirlo un po' alla volta al composto di uova, continuando a
mescolare con la frusta, porre la pentola sul fuoco e, sempre mescolando,
portare a ebollizione fino a che la crema si sarà ben addensata. Dopodiché
eliminare le scorze del limone e lasciarla raffreddare mescolando ogni tanto.
Passare ora
alle zeppole: versare l'acqua e il burro a pezzetti in una pentola capiente,
aggiungere un pizzico di sale e portare sul fuoco. Mescolare fino a completo
scioglimento del burro e, non appena inizia a bollire, unire di colpo tutta la
farina e rimestare per qualche minuto
fino a che l'impasto inizierà a
staccarsi dai bordi e formerà una palla compatta. Togliere dal fuoco e
lasciare intiepidire.
Nel
frattempo preriscaldare il forno a 200° in modalità ventilato.
A questo
punto riprendere la pentola con il composto e unire, una alla volta, le 5 uova
medie, avendo cura di amalgamare bene ogni uovo prima di aggiungere il
successivo. L'impasto dovrà risultare piuttosto denso. Attenzione: a seconda
della grandezza delle uova potrebbero volercene solo 4. Lo si capirà se il
composto dovesse essere eccessivamente cremoso: in quel caso, evitare di
aggiungere il quinto uovo.
Riempire una
sac a poche con una punta a stella e, in una teglia rivestita di carta forno,
dare forma alle zeppole, disponendo due giri sovrapposti di impasto, lasciando
vuoto il centro e tenendo un po' di distanza tra una e l'altra perché gonfieranno
molto in cottura.
Io ne ho
cotte 6 al forno e 6 le ho fritte.
Per
quelle al forno:
infornare a 200°C per i primi 15 minuti, poi abbassare a 190°C per altri 10
minuti. Quindi spegnere il forno e tenere lo sportello socchiuso, a spiffero.
Tenere le zeppole in forno fino a raffreddamento, pena il vederle smosciarsi
irrimediabilmente.
A quel punto
si potranno guarnire con la crema aiutandosi con la sac a poche, cercando di
riempire prima il centro e poi facendo un bel ricciolo di crema sopra. Completare
con un'amarena sciroppata al centro di ogni zeppola (o come nel mio caso con
mezzo cucchiaino di marmellata scura) e spolverare di abbondante zucchero a velo.
Per
quelle fritte:
Ritagliare
con le forbici il foglio di carta forno in corrispondenza di ogni zeppola. In
una padella capiente scaldare l'olio e quando è pronto immergervi le zeppole 2
o 3 per volta insieme alla carta forno.
Dopo qualche secondo il foglio si
staccherà e si potrà eliminare con l'aiuto delle pinze.
Continuare a friggere le zeppole girandole di tanto in tanto finché saranno belle gonfie e dorate.
Quindi scolarle su carta assorbente, lasciarle intiepidire e procedere alla
medesima decorazione di quelle cotte al forno.
Ma sai che con la marmellata non le ho mai provate? Devono essere ottime, visto che i frutti di bosco ci stanno alla grande.
RispondiEliminaComunque, abbiamo in comune la data di fine lavoro (fine momentanea, ovvio).
Per il resto, sì, inutile dire che un po' di paranoia c'è... ma credo sia normale.
E persisterà anche quando le restrizioni saranno allentate...
Moz-
Te lo confermo: persiste anche ora, a inizio fase2. Incrociamo le dita e speriamo bene, Moz!
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