Le cene con Dario e Gabriele sono, senza ombra di dubbio, un
momento altissimo di condivisione.
Spirituale e godereccia.
Di grandi abbuffate.
Di grasse risate.
Ma anche di attento studio socio-antropologico, che di
materiale in questi casi ce n’è fin troppo.
Tanto piacevoli da essere diventate un appuntamento fisso,
ricorrente, quasi a cadenza mensile ormai.
Menu per 4: tre uomini e la sottoscritta, nessun altro
invitato.
“a gabriè, ma porta pure
tu regazza, no?” (l’inflessione cervetrana
è un valore aggiunto!)
“ no, che sei matta,
nun me sentirei me stesso!”
Una tale, rilevante affermazione mi pone nella condizione -
beata - di semitrasparenza.
A volerla vedere male.
O di assoluta, meravigliosa e tanto agognata, parità.
A voler guardare il lato decisamente positivo e sicuramente
unico di tutta la faccenda.
Uomo tra gli uomini, altro che -solo sbandierata- parità di
diritti.
Siamo ben oltre, oltre anche l’immaginabile e l’umanamente
concepibile.
Tra commensali alla mia tavola: dell’uno sono la legittima
consorte; dell’altro l’inevitabile sorella; del terzo, per l’appunto, l’asessuata
sorella del capo.
Amica affezionata e un po’ materna.
Sorella acquisita insomma.
Uno (l’amato bene) lavora in un ambiente di pertinenza quasi esclusivamente maschile, dove solo da una
manciata di anni anche le donne hanno avuto accesso; gli altri due nel capannone di un'officina piena di lamiere contorte e pezzi di ricambio, dove anche la segretaria è un uomo…il che fa di tutti loro i
rappresentati degni dei più triti cliché.
Roba da uomini insomma.
Ma la cosa fantastica è che nessuno dei tre si creai
scrupoli di alcun tipo: di linguaggio o di gesti, di argomenti da affrontare o
di contegno da tenere.
In quei frangenti, durante queste cene corali tutte e solo fra noi, divento infatti, magicamente, una
di loro!
Ed è una sensazione nuova e bellissima: un po’ come quando
da bambina cerchi (invano) di intrufolarti nei giochi dei maschi e ti metti a
correre (maldestramente) e a sputare a terra per sentirti un po’ più simile a
loro.
Con la differenza però che lì ti agiti e ti danni l’anima
senza riuscire a essere considerata molto più di ciò che (banalmente) sei: una
femmina!
Qui, senza il minimo sforzo, né la più flebile fatica, ti
trovi in modo del tutto naturale invischiata in discorsi che ti aprono un mondo
e ti fanno capire quanto questo (il mondo, appunto), sia tanto cambiato ma in
fondo sia rimasto sempre uguale a se stesso.
E a parlare di donne (con una capacità di astrazione non
indifferente) e di relazioni più o meno stabili; di caccia e di armi; di
pallone e di moto; di motori e di vernici fatte al tintometro.
E l’occasione mi dà agio di preparare piatti cui
spontaneamente non penserei mai.
Che di norma releghiamo alle grandi abbuffate insomma.
Preferibilmente di qualche vita fa, che tra l'altro, certi piatti nemmeno vanno più di moda.
Quella volta lì erano le fettine panate (liberamente interpretate).
Poi è stato il turno del cinghiale (direttamente recapitato a domicilio).
L'ultima volta l'abbacchio (che non se n'era parlato ma sempre loro due c'erano di mezzo).
Il tutto preceduto dalla canonica e onnipresente “secchiata di rustici” (solo con wurstel
e con provola e speck), a grande e vibrante richiesta del “piccoletto” del
gruppo.
Per finire con caffè, ammazzacaffè, cicchetto, altro
cicchetto, altro ancora… fino a notte
inoltrata.
A bere e a chiacchierare.
A chiacchierare e a bere.
Come veri uomini!
È in queste occasioni infatti che ho imparato ad apprezzare
l’amaro Segesta e il brandy invecchiato; la grappa barricata e il whisky
d’annata.
Oltre ai fiumi di vino che scorrono durante la cena.
Sempre ben abbinati, s’intenda, che per quella faccenda
chiedo perfino lumi a grandi esperti.
A meno che non sia Gabriele in persona al portare “il vino de mi zio che quest’anno, regà è
proprio un SUGO de frutta!”
Solo l’ultima volta un accenno alla diversità di sesso della
sottoscritta, un vago riferimento alle novità del mio look (capelli cortissimi
da lunghissimi che erano) e quella domanda perentoria, dalla premessa che
faceva presagire chissà quale rilevante portata dell’incipiente discorso:
“Parlamo de cose
serie. Dimme ‘n po’: te perché te saresti CAROSATA così?”
Con evidente riferimento al nuovo aspetto forse non del
tutto gradito.
E quel verbo così denso di significato, esplicativo, unico.
Da pecora insomma. Con opportuno ricorso a un più pertinente
gergo agro-pastorale.
Tanto per non sciupare l'occasione.
Passando per la formulazione di massime filosofiche buttate lì,
frutto di svariate delusioni amorose e catastrofismo totale:
“tanto ee donne so’
tutte uguali!”
“…vabbè, escluse ee presenti, no, Gabriè?” tenta di salvarlo
il mio delicato e attento fratello.
Un attimo di silenzio, per pensare, uno sguardo distratto alla
sottoscritta.
Poi quella ratifica assoluta di parità:
“ no, ma de che? Ee donne so’ proprio TUTTE uguali”
E da qui la conferma, che sì, io sono esclusa, perchè
signori, sono davvero una di loro, maschio fin nel midollo!!
@@@@@@@@@@@@
La faccenda è molto seria.
Che i piatti apparentemente più semplici siano anche i più
difficili da fare bene è cosa ormai risaputa.
Che ci si approcci con una riverenza un filo esagerata,
anche.
Perché sicuramente nonna mia per fare un’amatriciana non
andava a scartabellare libri, né chiedere lumi né tantomeno diramare sondaggi
su quesiti di vitale importanza come cipolla
sì cipolla no.
Così per la cacio e pepe.
O per la gricia.
Agiva così: d’istinto, secondo conoscenze insite nel DNA,
tramandate nei secoli, avute in dono da antenati, infuse magicamente.
Era roba insomma da sapienza innata.
È vero anche che meno ingredienti compongono un piatto più
l’attenzione dovrà essere vigile e la precisione dell’esecuzione infallibile.
Però ecco fa un certo effetto l’idea di approcciare una
ricetta super complicata con l’agio e la scioltezza di uno chef pluristellato e
approntare una matricina in punta di piedi.
Ma tant’è.
E i puristi non me ne vogliano, ma io cari miei la cipolla
ce la metto eccome! E se non vi sta bene, provate a chiedere a quelli del
portale della matriciana perfetta.
Ingredienti (per
4)
500 gr di bucatini
250 gr circa di guanciale
1 cipolla media
1 barattolo grande e 1 piccolo di pelati
Peperoncino in grani
2 cucchiai (non di più!) di olio extravergine d’oliva
Sale
Pecorino romano
Procedimento
Tagliare il guanciale a striscioline non troppo sottili e
metterlo a rosolare piano in un largo tegame antiaderente stando attenti a
mantenere la temperatura costante, in modo che non bruci né però si lessi. Deve
risultare croccante e trasparente.
In un altro padellino far stufare a fuoco basso la cipolla
tritata nei due cucchiai di olio e quando anche quella sarà diventata
trasparente senza prendere colore, unirla al guanciale.
Passare leggermente i pelati al minipimer,
quindi unirli al
guanciale, aggiustare (moderatamente) di sale, aggiungere il peperoncino in
grani e far cuocere il sugo a fuoco basso per circa un’ora e mezza girando di
tanto in tanto.
Lessare i bucatini in abbondante acqua salata, scolarli
molto bene e accuratamente (perché avendo i buchi tendono a trattenere
l’acqua), condirli con il sugo, e 2 cucchiai di pecorino, quindi impiattarli,
aggiungere un altro cucchiaio di sugo su ogni porzione e un’altra spolverata di
pecorino.
Questa si che è un amatriciana. Sai perchè è così grassa rispetto al guanciale fresco....per in quest'ultimo levano la parte grassa del collo nell'altra versione no però si trova anche il guanciale più magrino.
RispondiEliminaIl tuo racconto mi ha ricordato le cene di fine anno con ex compagni di scuola di marito e le loro mogli. Ognuno portava qualcosa nella casa di turno ospitante. Alla fine della cena tutti in cucina ...gli uomini...a bere quello si fa per dire della staffa e cantare canzona...e l'unica donna che veniva richiesta era la sottoscritta. Quando una delle mogli chiese...perchè noi no!!!! risposta...voi siete donne lei no. Il bello è che non mi sono sentita sminuita anzi ed in fondo mi sono sentita lusingata perchè oltretutto ehehehehehe ero la più giovane (bellina) di tutte loro.
Non ti puoi immaginare le occhiate ed il sparlazzi ma chi ne fregava visto che marito era presente anche lui...ahahaha.
Bei ricordi ciaooo.
Edvige, con un guanciale più "magrino" rischieremmo di rendere questa amatriciana light, e se uno deve sgarrare lo deve fare per bene, no?! Ergo: grasso a volontà!!!!
EliminaGrazie della condivisione dei tuoi ricordi, sempre molto carini!
Tanti baci e buon week end!
Tesora! Una pasta, l'Amatriciana, da me molto amata!
RispondiEliminaMa no, niente cipolla nella mia versione, che la vede la sorella rossa della gricia.
(oddio! perché ho detto gricia a quest'ora? mannaggia ame, ora salivo fino alle 20!!!)
ecco, io la cipolla la metto pure nella gricia in realtà, che forse allora si chiamerà in un'altro modo e sarà proprio tutta un'altra cosa...mi prendo di quelle libertà con le ricette, pure canoniche e intoccabili, cara mia, sapessi!!!!
EliminaLa soluzione alla salivazione era programmare di cucinarsene un bel piatto per quella sera: spero che tu l'abbia fatto, perchè non c'è niente di meglio che prepararsi un piatto di pasta tutto per sè!!
Tanti baci, Pills bella!
Ahaahahah ossignur.. ce manca solo la serata "rutto libero" e stamo apposto che sei una de loro!! Ma dai che è troppo diovertente.. a me capita spesso ma solo con 1 amico e Ric.. loro parlanod e tutto.. de donne.. se allargano.. come se io fossi uomo come loro ahaha che figata!!! Poi passiamo all'amatriciana.... ma cipolla forever!!! senza non sarebbe la stessa cosa!!! Buonaaaaaaaaaaaa la tua... smackkk
RispondiEliminaEcco, al rutto libero non siamo ancora arrivati ma poco ce manca!!
EliminaIn ogni caso sì, ste serate sono proprio belle e liberatorie!
Bacioni Claudiè, grazie e buon fine settimana!
Ne trovo ben 2 ...questo l'avevo perso mannaggia. Quanto ci somigliamo non lo sai....io con un fratello più grande sono cresciuta come un maschiaccio e ho sempre avuto amici uomini, perciò mi troverei benissimo nella compagnia. E da una settima me sò carosata pur io, ma assai proprio alla maschiaccia. Ora sembra asurdo dirlo ma l'amatriciana quella vera con il guanciale non l'ho mai fatta...finora. Bella l'idea di usare il minipimer nei pelati...quanto siamo pratiche noi donne però! Un bacione.
RispondiEliminaE che aspetti a farla st'amatriciana, Annarì?!!
EliminaDai: pure tu carosata!! Io, a distanza di qualche mese dalla decisione, pur colta da fitte di passeggera malinconia ogni volta che ritrovo un mio capello lunghissimo infilato nella trama di qualche maglione dimenticato, non potrei più fare a meno della mia zazzeretta corta! troppo comoda, troppo pratica, troppo versatile e poi gli orecchini, grandi piccoli o pure minuscoli, finalmente si vedono e ne escono addirittura valorizzati!
Quanto alla praticità di noi donne...beh dai, ora senza voler proprio infierire, ma a sti uomini lasciamo proprio na pista!!(altro che parità...je piacerebbe!!!!)
Tanti baciotti, buon fine settimana!