"A casa non s'arriva mai, ma dove confluiscono vie amiche, il mondo per un istante sembra casa nostra" (H.Hesse)

lunedì 4 dicembre 2017

Solo per stomaci forti: la Medina di Fes


Un viaggio fatto dieci anni fa. Indimenticabile nel senso più ampio del termine.
All’epoca questo blog non esisteva e il racconto del tour delle città imperiali del Marocco è tuttora ospitato sul sito di Turisti per Caso.
Ora, scompattandolo per luoghi e città, lo voglio progressivamente trasferire qui, “a casa sua”.
Ho deciso di cominciare da Fes e dalla sua incredibile Medina (il quartiere vecchio) che, fra tutte è sicuramente quella che, da sola, vale l’intero viaggio.

Fes è tutto ciò che non ti aspetti. Quello che va ben oltre ogni tipo di immaginazione.
 E’ l’esperienza che ti avvolge, ti centrifuga e ti rimane dentro, nel bene e nel male. 
Fes è il contrasto nettissimo tra la metropoli moderna e tecnologica degli alberghi extralusso e del McDonald’s

 e i gironi infernali del labirinto della Medina, la parte vecchia delle città arabe o nordafricane. Questa di Fes la leggi descritta sulle guide, ti sembra di vederla, di riuscire a immaginarla, invece poi ti accorgi che è molto, molto di più: i suoi vicoli sono più stretti, i muli che ti passano accanto stracarichi costringendoti ad appiattirti sul muro o contro altre persone sono più numerosi, il buio di qualche vicolo è molto più intenso, l’odore acre delle concerie, degli animali in vendita (vivi e morti), delle spezie, del pesce e della carne pieni di mosche, è molto più penetrante e difficile da sopportare.

 Un ghetto, un quartiere medievale dove con questo aggettivo non ci si riferisce all’architettura, ma proprio allo stile di vita, ai mestieri, agli usi e costumi.

 Un mondo completamente a parte, chiuso come una mano serrata a pugno, affascinante quanto incredibile, al punto di avere l’impressione di trovarsi su un set cinematografico.
 E guardare tutto rapiti ed increduli perché invece è realtà. 

Alla Medina ci si avvicina pian piano, la si guarda prima dall’alto di una collina sovrastante da cui anche i tetti delle case perdono i loro contorni e sembrano fondersi in un’unica, enorme macchia sbiadita.

Si pensa sia solo un gioco di prospettiva, invece no: lì dentro è esattamente così, amalgama indistinto di case e vicoli, tetti e vecchie travi che sorreggono mura pericolanti, stuoie di bambù sospese tra un edificio e l’altro a riparare dal sole e formare il soffitto mobile di un’unica, affollatissima abitazione.

 Spicchi di cielo solo ogni tanto; vicoli su cui il sole, invece, non batte proprio mai, dove perdere la cognizione del tempo è facile e quasi inevitabile.

 E le persone: fiumi di gente che corre da una parte all’altra, affaccendata, intenta.

Ti sposta, chiede permesso, si fa strada comunque; o che al contrario sta ferma immobile su un gradino polveroso

 o in un buco asfissiante pieno di cianfrusaglie da vendere, riparare, forgiare, tessere.

 Si susseguono falegnami, sarti, ciabattini, tintori,

 venditori di spezie, di colorati e stucchevoli dolciumi animati da api e mosche, di carni ormai scure,

 di pesci asfittici e con l’occhio appannato buttati lì, su un banchetto, in balia di sciami di insetti. Impossibile addentrarsi in questo labirinto senza una guida, semplicissimo trovarne una disposta, per pochi dirham a condurre l’impresa di riuscire a districarsi e in più guardarsi attorno per non perdere nulla.

 Ogni vicolo ha la sua peculiarità e i rappresentanti di un mestiere.

 Polli e tacchini già rassegnati alla loro sorte e tenuti buoni chissà come giacciono intontiti in file composte, su luridi scampoli di tappeti berberi in attesa che arrivi il cliente a sceglierne uno, indicarlo e  passarlo al carnefice che, con un gesto rapido, gli torce il collo e lo mette in una macchinetta elettrica per spennarlo. 

Poi lo taglia, lo incarta e lo consegna.

 Un attimo: un passaggio rapido che immobilizza i pensieri e colpisce come un pugno nello stomaco. Fes è anche l’orrore di chioschi con quarti di bue appesi e le teste degli animali disposte sul lastrone di pietra centrale a fare da vetrina e richiamo.

Sono i muli che lì rappresentano l’unico mezzo di trasporto (indicati anche in fantasiosi cartelli stradali) e viaggiano carichi di ogni cosa: 

casse d’acqua, sacchi di farina, ceste di lana da cardare, perfino (incredibilmente) scatole di televisori imballati.

 Loro hanno la precedenza su tutto: il turista qui conta poco o niente, anzi è un fastidio, un’inutile e indiscreto osservatore. Al grido di “Balak!” (Attenzione!) i conducenti dei muli si fanno largo tra la folla in budelli di strada in cui mai si crederebbe che possano trovare spazio per passare. Il grido è un imperativo, non una richiesta: che ci si sposti o no, il mulo passa lo stesso! 

Bambini scalzi giocano fra la polvere e all’ora di pranzo si mettono in fila davanti a carretti che distribuiscono una brodaglia colorata in ciotole di plastica: lumache! O anche ceci bolliti. 
Teche sporche e unte custodiscono file di dentiere 

davanti a quello che, senza ombra di dubbio, deve essere lo studio di un dentista. 

Ce ne sono diversi, qui nella medina di Fes: ognuno con la sua stravagante vetrina e l’insegna inequivocabile di una bocca che sorride. 
Porticine minuscole introducono in seminterrati bui dove file di panini e pagnotte sostano, in larghe teglie poggiate a terra, prima di scomparire dentro bocche di forni a legna. 

Questo profumo famigliare e rassicurante è un’oasi paradisiaca in mezzo a una girandola di odori cui è davvero difficile abituarsi e il cui nucleo magmatico è rappresentato dalle vasche dei conciatori di pelli. 


Quando si arriva sulla terrazza sovrastante da cui osservarle, si viene dotati di un rametto di menta da mettere sotto il naso. Ma il fetore insopportabile assale molto prima di salire in cima alle scale. L’immagine di uomini immersi fino alle gambe in liquidi putridi e vagamente colorati (tutti colori naturali, spiega la guida) è il più fedele possibile a quella di un girone dantesco. Il nostro scudo di menta è un peso che pungola dentro all’idea del luogo insalubre e inconcepibile in cui quegli uomini lavorano, a mani nude e senza mascherine. Senza protezioni di sorta. Su quello che appare come un quadro dipinto, tanto è irreale, spicca il bianco delle vasche di calce viva, primo passaggio della lavorazione, le uniche dove, solo per ovvie ragioni, i lavoratori a cottimo si immergono con stivali e guanti di gomma. Seguono quelle melmose di escrementi di piccione (per ammorbidire le pelli) e, via via, quelle colorate.

 L’odore fortissimo di pecora in decomposizione ci seguirà e colpirà ogni volta, solo più attutito, durante tutto il resto del viaggio, a ogni incontro con un oggetto in pelle: una borsa, un portafogli, un paio di babbucce, tutto avrà questo inconfondibile e nauseabondo fetore che ci farà desistere da ogni più vaga idea di acquisto.
 Ma Fes sono anche le bellissime Mederse di Bou Anania 

Attarine 

che si aprono inaspettatamente dietro alti e anonimi portoni a nasconderle e quasi a proteggerne la pace e la tranquillità. 

Antichi rifugi di studiosi di teologia coranica, hanno al centro una grande vasca per le abluzioni con mosaici belli e solo appena intaccati dall’usura del tempo.

 Alle finestre, magnifici intarsi su pannelli in legno di cedro.

E’ il cortile grande e ombroso del Museo Dar Batha, splendido anche per il ristoro che offre a una gita così densa di forti emozioni.



6 commenti:

  1. Meraviglioso, metti tantissimi posti del mondo che non avrò mai l'occasione di vederli.
    In più le tue descriziono ti fanno volare proprio sul posto, grazie.
    Mandi

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    1. Grazie a te Rosetta, che non manchi mai di comunicarmi il tuo apprezzamento: sono davvero felice di portarti in viaggio con me!
      Bacioni grandi e buona festa dell'Immacolata

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  2. ho un bellissimo ricordo del marocco: ci sono stata in quinta liceo con uno scambio culturale organizzato dalle mie professoresse. Noi eravamo stati là una settimana ospiti da famiglie e loro avevano fatto la stessa cosa l'anno precedente.
    E' stato divertente :)
    a FEs però non ci eravamo stati... sarebbe una buona scusaper tornare dopo più di 10 anni!

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    1. Il mio ricordo del Marocco non è tra i più felici per via di quella brutta intossicazione che ci siamo presi. Però è sicuramente uno dei viaggi più densi di "colpi di scena". Fes merita assolutamente di essere vista, ma meglio andarci preparati, sapendo a cosa si va incontro. Grazie fede tanti baci!

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  3. Grazie ci hai fatto vedere delle magnifiche immagini di Fes, certo non so se comprerei qualcosa da mangiare

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    1. In effetti l impulso agli acquisti lì dentro ti passa all'istante!
      Grazie a te, Carmine, buona giornata!

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