Poca roba in
realtà, ma qualche decorazione anche per Pasqua l’abbiamo finalmente ritirata
fuori. Coniglietti, ovetti, pulcini e fiori di pesco del resto giacevano
intoccabili da svariati anni a questa parte, fra traslochi, cambi di casa,
lavori in corso e altre simili piacevolezze.
Tuttavia,
essendomene ricordata abbastanza tardi, era anche l’ennesimo compito che mi ero
prefissata di portare a termine il giorno di venerdì santo.
La mattina
per la precisione.
Che con il
fatto di lavorare il pomeriggio pare chissà quanto tempo a disposizione io
abbia al mattino.
Ma la verità
è che tra stendi i panni, vai in palestra, predisponi qualcosa per cena, fai la
spesa, una doccia magari, cambiati, mangia, ritira lo stendino sotto la
veranda, scapicollati a prendere il treno -ricordandoti di chiudere il gas
prima di uscire, sennò ritorna pure indietro- in realtà i minuti sono sempre,
rigorosamente, contati.
Venerdì
scorso ancora di più, avendo per la domenica di Pasqua, poco meno di una decina
di persone a pranzo e volendo portare a termine almeno l’oneroso compito della
spesa.
I minuti
dunque andavano contati e smistati ancora più selettivamente: 35 per il
supermercato, 15 per la frutteria, 20 per tornare a casa e rimettere tutto a
posto, giocando a Tetris fra i ripiani del frigorifero.
Ma venerdì
mattina non ero l’unica ad aver avuto questa idea e il supermercato rigurgitava
di gente che, esattamente come me, “voleva
portare a termine almeno l’oneroso compito della spesa” per potersi rintanare,
l’indomani, in clausura nella propria cucina e uscirne all’alba del giorno dopo.
Ed è proprio
quando vai di corsa che fra te e l’obiettivo si frappongono centomila
ostacoli.
Non ultimi
quelli più impensabili. Tipo incontrare persone con molto tempo libero davanti
e tanta voglia di parlare.
I 35 minuti da
poter dedicare al supermercato erano destinati inevitabilmente ad aumentare scoprendo
di avere la bellezza di 11 persone in fila prima di me al banco del salumiere.
Ma sono poi
di fatto raddoppiati avendo incontrato mezzo paese lì convenuto. Per la precisione,
nell’ordine: due amiche della palestra che non vedevo da prima di partire per
il Sudafrica e che volevano sapere tutto del viaggio raccontarmi le
ultime catastrofi occorse nella propria vita dall’operazione alla prostata del
marito di una delle due (comprensive di dettagli del postoperatorio), ai guai
articolari della seconda; e una ex vicina di casa estremamente socievole che mi
ha resa edotta di tutte le più sfiziose novità concernenti i miei ex condomini.
Il tutto mentre con un occhio seguivo le interessantissime conversazioni e l’altro
spuntavo meticolosamente la lista della spesa tastando carciofi e infilando
mele nei sacchetti.
Beh dai, tutto sommato posso
rimandare la doccia a stasera e recuperare almeno venti minuti, mi incoraggiavo ingenuamente,
ancora ignara di ciò che mi aspettava.
È stato proprio
quando stavo per guadagnare la cassa, e la ventina di persone in fila, infatti
che mi sono sentita chiamare con voce flebile ma accorata.
Girandomi
con timore ho scoperto che in realtà era “solo” un amico d’infanzia dell’amato
bene. Noto per essere un tipo di poche parole e scarsi convenevoli. Almeno con
lui.
Gli sorrido,
lo saluto calorosamente, gli faccio tanti auguri di buona Pasqua e faccio per
passare oltre, quando sento bloccarmi dalla domanda fatidica.
“Come va?”
Che non è
una domanda.
È
un’esortazione a ricambiare l’interessamento.
La chiave
per aprire la sua diga.
Il
chiavistello da scardinare per dargli agio di raccontarmi tutta per intero la
sua vita. Le sue disgrazie, le sue sfighe.
Siamo
partiti dai moti studenteschi del ’68.
Passando per
il lavoro che non si trova, la crisi dei valori e la maleducazione imperante.
Per arrivare
a parlare delle recenti elezioni, del Papa e delle minacce internazionali del
terrorismo.
O meglio:
lui a parlare.
Quello di
poche parole.
Lo schivo.
Il sedicente
sociopatico.
Io a
chiedermi il perché ci si sia dati tutti appuntamento qui oggi.
E a
guadagnare centimetri per sottrarmi al martirio e per mettermi, almeno, in fila
alla cassa.
@@@@@@@@@@@@@
In realtà
doveva essere un plumcake, solo che al momento di infornarlo ho sbagliato
stampo, usando il più grande. Visto che lo avevo sporcato non avevo voglia di
cambiare e ricominciare tutta la trafila di oliatura e infarinatura, così mi
sono lanciata alla cieca! Ottenendo (ma va’?) una tortina bassa bassa che ho
tagliato in… trancetti.
Posso
garantire comunque che il sapore ha egregiamente compensato la mancanza di
appeal….
(voi usate
uno stampo per plumcake piccolo!)
Per questa
ricetta ho preso spunto dalla bravissima Consuelo,
che tempo fa aveva pubblicato una torta con le mele dalla quale ero rimasta
colpita perché completamente senza zucchero. Io ne ho fatta una versione con le
pere, la cannella e la salsa tahin al posto dell’olio.
Ingredienti
200 gr di
farina di riso integrale
200 gr di
latte di riso
160 gr di pere (ma vanno bene anche mele) al netto degli scarti
100 gr di
cioccolato fondente al 75%
10 gr di
tahin (o di olio di semi o di riso)
2 cucchiaini
di polvere lievitante bio
1 cucchiaino
colmo di cannella in polvere
Procedimento
Spezzettare
il cioccolato e metterlo, insieme alla cannella, in un pentolino con il latte
di riso. Lasciarlo sciogliere a fuoco dolce mescolando spesso.
Sbucciare le
pere, tagliarle e metterle nel robot da cucina per frullarle insieme alla tahin
e poi al latte con il cioccolato.
Setacciare
la farina con il lievito, e unire i due composti mecolando bene.
Versare in
uno stampo oliato e infarinato e cuocere in forno preriscaldato a 180° per 20
minuti.
Ma dai! Con le pere e le altre piccole varianti deve essere ancora più gustosa e sappi che non mi dispiace nemmeno l'idea del trancetto ^_*
RispondiEliminaHo sofferto con te al supermercato perchè mi trovo inesorabilmente nella stessa situazione quando ho i minuti contati..
Un abbraccio e spero tu abbia trascorso delle serene feste, almeno una volta uscita dal super :-)
E' la legge della natura per la quale più vai di fretta più trovi quello che va a due all'ora in macchina, fai l'incontro che mai avresti pensato di fare e tutto ciò che le forze sovraumane hanno pensato per te! :-D
RispondiEliminaMi piace quando a decidere di una preparazione è lo stampo! :-D Alla fine ci si adatta et voilà, i trancetti :-) L'importante è che fossero buoni :-)
Che tu mica ti eri già abituata ai ritmi della savana, la giungla metropolitana (o di qualunque realtà) è sempre peggio :-)
Fabio
Ciao, sembra buono, mi sono unita ai tuoi follower, se vuoi farlo anche tu su https://michelaencuisine.blogspot.it grazie
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