Che fosse un filo cambiata, in tutti questi anni, potevo
anche immaginarmelo.
Che potesse suscitare le medesime sensazioni di allora, pur
con il restyling già effettuato, e tutto quello ancora in corso, è stata una
sorpresa inaspettata.
Tornare a Berlino dopo 35 anni, da adulta, è stato come
riprendere a punzecchiarsi e a discutere animatamente con una persona con cui
non sei mai andata d’accordo.
E che però non puoi fare a meno, in qualche strano modo e
per qualche astrusa ragione, di amare e custodire nel cuore.
Perché Berlino per me è come una persona: una mamma severa e
molto rigida, protettiva anche se davvero poco incline a effusioni e smancerie.
Che mi ha formata, temprata, abituata a essere quello che
sono ora.
Nel bene e nel male. E con una mamma ci discuti, ci litighi,
ti ci scontri.
La metti in discussione, le rinfacci errori e mancanze, che
poi è come trovarsi di fronte a uno specchio e mettere in discussione se
stessi.
Paralleli e metafore a parte, dopo 35 anni e un viaggio
(molto) a lungo rimandato ho capito questo: che Berlino, io, non la amerò mai.
O forse non riuscirò mai a odiarla fino in fondo, che poi è
la stessa cosa.
E il bello è che di
ragioni, per avallare l’ambivalenza di questi sentimenti contrapposti, fra
vecchie e nuove, me ne fornisce sempre diverse e molto sfaccettate.
Sono arrivata a questa conclusione dopo averla riattraversata
in lungo e in largo, sforzandomi di guardarla col distacco di un turista che la
vede e la ammira per la prima volta, suggestionato dal suo passato e magari
cercando di immaginare come poteva essere ai tempi in cui era divisa in due
città e due realtà totalmente distinte e separate (perché tali, di fatto,
erano).
E poi abbandonandomi ai ricordi, andando a ricercare la mia vecchia casa, la casa della
mia amica e compagna di scuola, l’asilo a Est, la scuola elementare a Ovest, il
parco giochi, tutti i luoghi della mia infanzia, in un percorso, fra la
nostalgia e le emozioni belle e brutte, che non finiva più.
E che forse è destinato a non concludersi mai, come un libro
sempre aperto sulla stessa pagina.
Ma soprattutto cercando sempre, con gli occhi e col cuore,
smaniosamente lui,
quel muro all’ombra del quale si viveva e intorno al quale
tutto ruotava: la Guerra Fredda ,
per i capoccioni della storia; la vita quotidiana, le abitudini, le storie
personali, i percorsi stradali e le vicende umane, per tutti gli altri comuni
mortali.
Di noi ospiti stranieri, che pure potevamo attraversarlo, così
come di loro, i tedeschi dell’Est, cui invece questa libertà era preclusa.
E non solo come semplice prescrizione,
ma proprio a colpi di mitra.
Difficile però astrarsi dalle scene dei film e pensare al
peso di certe parole
mitra
posto di blocco
frontiera
filo spinato
mine pronte a esplodere
e immaginare tutto
come una realtà vera, tangibile, senza cinepresa né copioni.
Un muro lungo e spesso, grigio e infinito, alto e
invalicabile.
Che parla da solo.
E che ora, nel 2013, ti trovi davanti a ogni angolo di
strada, smembrato in infiniti piccoli pezzi diventati un souvenir per turisti; oppure
lo ammiri su quell’ormai famosissimo tratto dipinto da artisti di tutto il
mondo con murales che inneggiano alla libertà, che scimmiottano un po’ le
figure chiave di quello scenario, o che tentano di rappresentare il buio e la
follia imperante di quei tempi.
Ma di fatto, ritrovandone il volto vero, nudo e crudo, violento
e arrogante, reale e senza mistificazioni né rocambolesche esorcizzazioni di
sorta, solo in quell’unico tratto in cui è stato lasciato tale e quale, lungo
quella Bernauer Strasse dove giusto un pastore si è battuto perché il pezzo di
barriera lungo la sua chiesa (che non esiste più) fosse classificato come
monumento storico ma soprattutto lasciato così com’era.
Compreso quel grande spazio vuoto tutto intorno, e solo una
croce di legno ora a punteggiarlo, che all’epoca era l’immensa no man’s land fra i due avamposti.
E dove, dal giorno alla notte, sono stati abbattuti palazzi
(che inopportunamente si trovavano sulla linea dove era stato stabilito che
venisse costruito il muro…), murate porte d’ingresso che a quel punto davano
sulla parte Ovest, divise intere famiglie (e mai più ricongiunte), espropriate
case, esautorati perfino interi tratti di cimitero costruendo il muro
direttamente sopra le tombe.
Ma non è abbattendolo o smembrandolo fino all’ultima
briciola di calcinaccio o tondino di ferro che lo si può dimenticare o far
finta che non sia mai esistito.
Esorcizzare o farci pace.
Né dipingendolo o trasformandolo in mostra permanente
gratuita come accade sulla Niederkirchner Strasse e la sua “Topografia del
terrore”.
Scenografica perfino nel nome.
Con foto raccapriccianti di momenti che, se non altro,
dovrebbero restare solo privati, magari per restituire un barlume di dignità ai
soggetti ritratti nell’attimo di morire o subito dopo.
Molto meglio forse lasciare che siano gli oggetti, i segni,
le evidenze a parlare da sole, naturalmente.
E quel muro è in grado di dire, da solo, tante cose.
A patto però di guardarlo nella sua oscena nudità.
Senza colori e senza orpelli, senza mostre o ricostruzioni
appositamente studiate che ne denuncino l’assurdità.
Perché è denuncia e assurdità lui stesso.
Non serve altro.
Mentre la città e il suo volto nuovo sono una profusione di
ricordi indotti.
Troppi memoriali, troppa rievocazione, oserei dire
ostentazione di questo passato dal quale, è palese, si vuole dimostrare a tutti
i costi di avere preso le distanze.
Quasi morbose tutte quelle foto in bianco e nero a ogni
angolo di strada, est o ovest che fosse (e che è molto difficile, nella
confusione, ora distinguere).
Ma il culmine lo tocca quel Check Point Charlie in un primo
momento abbattuto e completamente raso al suolo, poi ricostruito per volontà
forse di quei berlinesi che hanno avuto, loro malgrado, tristemente a che farci
per lunghi anni.
E che giustamente volevano rimanesse un monito e un
monumento, di certo non la trappola per turisti che è diventato.
Due emblematiche, enormi immagini del fotografo Frank Thiel
sovrastano l’area dell’ex postazione militare: un soldato russo che guarda
verso Ovest e un soldato americano, di colore, rivolto a Est.
Forse bastava questo.
Di certo non era necessario trasformare tutto in barzelletta
piazzando al centro della strada una pila di sacchi di sabbia e due finti
soldati in uniforme, a rappresentare i due schieramenti, che richiamano a gran
voce i turisti e davanti ai quali si snoda una lunga fila per farsi
fotografare.
Un po’ come i finti centurioni davanti al Colosseo, con la
differenza che quelli, molto probabilmente, non hanno mai dovuto sparare a
nessuno.
Quasi irriverente, al pensiero che quello scenario da film
di spionaggio, era una realtà vera da attraversare ogni singolo giorno, per i
fortunati che potevano; oppure un luogo da guardare con terrore e tanta voglia
di scappare, per i derelitti che avevano avuto solo la sfiga di essere stati
confinati lì, dalla parte sbagliata.
E non è che attraversarlo, pure per chi poteva, fosse
proprio una passeggiata leggera.
Minimo mezz’ora di attesa.
E poi controllo passaporti, verifica del visto, perquisizione
completa della macchina: sopra, sotto, dietro i sedili e nel bagagliaio, dentro
il vano motore con la torcia e sotto la scocca con appositi specchi.
Tutto ad armi spianate.
Tutto per due volte al giorno. Andando e tornando da scuola.
Con propaggini, di quel muro che non si esaurivano nei suoi
confini, ma arrivavano fin dentro le case: con i microfoni spia, il telefono
sotto controllo, la posta che arrivava aperta, letta e tradotta.
A volte perfino smembrata, come la cartolina musicale che mi
aveva spedito mia nonna e che doveva aver destato pesantissimi sospetti...
Vietati i contatti con gente del posto, vietati per la loro
sicurezza e salvaguardia, non certo per noi.
Ma anche per pudore e solidarietà, perché quell’unica volta
che ho portato a passeggio cicciobello al parco comunale mi sono trovata
attorniata da bambine che una Puppe così
bella non l’avevano mai vista.
O come quella volta al Kindergarten che mamma mi aveva messo
incautamente dei mandarini per merenda e che mi ero sentita osservata e
inadeguata, pur nell’inconsapevolezza dei miei 4 anni.
Perché a Est i
mandarini erano una rarità.
Come le fragole: potevano arrivarne 3 cassette un bel
giorno, al supermercato sotto casa. Ti mettevi in fila, ordinatamente, per
tentare di accaparrartene quei due-tre etti a persona consentiti.
Ma non era detto che ti andasse bene e potevi pure fare la
fila inutilmente e scoprire che erano finite quando finalmente arrivava il tuo
turno.
Ma noi fortunelli la spesa potevamo farla pure a Ovest.
Berlino ora è una città piena di giovani, ce ne sono davvero
tanti, di tutte le razze, le etnie, i paesi.
Ma tutta quella pseudo libertà di espressione, con
spettacoli improvvisati nelle piazze, dove ognuno può scegliere di fare ed
essere ciò che vuole, a me (ma è solo un parere personale) ha messo solo tanta
tristezza.
Mi è sembrata l'ennesima esorcizzazione di un passato che
c'è poco da fare: è ancora lì, lampante, vivissimo, nelle cicatrici dei
palazzi, in quell’ampelman ai semafori (e non solo sulle scritte dei negozi ora
dedicati..), sui tanti segni nascosti eppure assolutamente evidenti.
Ma allora che ci fai con un passato così pesante?
Forse lo lasci lì e basta, ne prendi atto, lo commemori pure,
ma lasci che gli altri lo vedano e ci riflettano da soli.
Senza guide, senza mediazioni di sorta, senza ostentazioni.
Non ti metti a vendere pezzi di muro come souvenir a ogni
angolo di strada.
Non fai il museo della DDR. Perché i berlinesi dell’est
esistono ancora e certi oggetti della DDR che ora sono al museo noi li usiamo
ancora qua a Roma, anche a distanza di anni e chilometri.
Non organizzi tour della città a brodo della Trabant.
Perchè tutto quello che ora è diventato museo o divertimento
per turisti una volta era l'orgoglio e le gioie (poche ma preziose, come per
esempio quella di riuscire a comprarsi una Trabant e aspettarne la consegna
anche per 6 mesi!) e i dolori di un popolo che è stato diviso a metà, c'è poco
da fare.
E che diviso a metà è rimasto.
Provare a camminare lungo la Frankfurter Allee ,
svoltando a un certo punto sulla Möllendorffstraße
e proseguendo oltre il quartiere di Fredrichshain, per credere.
(è fuori mappa, oltre la zona turisticamente
conosciuta, ma si trova facilmente e si parte dalla centralissima Karl Marx
Allee, per ottimi camminatori o affittando una bici. Oppure prendendo la U-Bahn e poi il tram 16 o
23 all’incrocio).
Nonostante le smanie di progresso e i mille cantieri aperti:
la futuristica (e bellissima) cupola in vetro e acciaio del Reichtag e
tutti i bar pieni di cimeli della DDR.
Il magnifico complesso del Sony Center e il vecchio edificio
della sovietica Kaufhalle rimasto tale e quale, cambiando solo il nome del
rivenditore.
Il restauratissimo (e ora chiccosissimo) KaDeWe, e i vecchi
Kaufhof, di cui la città è ancora disseminata, fra una Galeries Lafayette e un Europa center, come in una qualsiasi altra capitale europea.
Tutto questo ha un che di irritante.
E dà l’idea di una città estremamente confusa, ancora
disgregata, proiettata al futuro avendo assolto al compitino di fare i conti
col passato, sembrerebbe, giusto per gli occhi e la coscienza di chi la guarda
da fuori.
Ma con la voglia intensa e nemmeno troppo nascosta di
liberarsene per sempre, spazzando via tutto, a botte di centri commerciali
sempre più megalomani (vedere l’immenso cantiere dell’Humboldt forum che ha
sventrato i dintorni di Alexander platz, il prato antistante il Berliner Dom e
tutto il glorioso viale di Unter den Linden) e di mostre pseudo commemorative.
E la famosa porta di brandeburgo?
Oh, un enorme simbolo, che prima appariva così
e ora così.
E non è che il giorno in cui é stata scattata la prima ci fosse semplicemente poca gente: quello era il limite
invalicabile, peccato non ne rimanga traccia nemmeno attraverso un mattoncino che
ricordi dove si trovasse il muro.
Tante foto, quello sì. E spiegazioni in tedesco e in inglese
ai quattro angoli della piazza.
Insomma, ben poco, nonostante tutti gli anni e la storia,
dentro di me è cambiato.
Odio-amore come sempre.
Perché nonostante tutto quanto sopra detto, c’è anche amore,
sì.
Perché Berlino è stata la mia culla e la mia mammetta per
tanti anni e c’è una cosa in particolare di lei che amo alla follia, a parte
tutto il verde delle sue campagne circostanti, i laghi e i fiumi, la puntualità
e l’efficienza dei suoi mezzi pubblici:
L’asparago, la torre
della televisione, il faro che ti guida da ogni punto della città in cui ti
trovi, perché da ogni punto è visibile e riconoscibile.
Rimasta lì, immobile e intatta, libera e scevra da ostentazioni e lifting di sorta,
nella sua inviolata e meravigliosa Ostalgie,
a racchiudere i sogni di bambina e quelli di adulta.
Ora e per sempre, tanto più che finalmente, questa volta ci
sono anche salita, salutando l’omino appeso alle sue vetrate e sospeso nel
vuoto per pulirla e lucidarla….
Che bella analisi, è l'impressione che è riuscita a trasmettere a me, in soli sette giorni, correndo da una parte all'altra perchè più la conoscevo e mi intrigava, perchè sette giorni non sono bastati, ma che inizialmente mi sembravano troppi perchè non la volevo vedere Berlino, mi spaventava, ne avevo un'idea sbagliata, un preconcetto... e invece è stato amore a prima vista, un assembramento di dolore, storia, dignità ferita e ferrea volontà di rinascita, un equilibrato miscuglio di ricordo e desiderio di dimenticare, una città strana, ricostruita lasciando lo spazio alle cicatrici, ben in vista, forse più da monito che per fini turistici. L'aspetto turistico l'ho visto solo a Check Point Charlie, il resto è dolore, è ferite ancora aperte, è futuro che rinasce dalle ceneri del dolore, è vita nonostante tutto...
RispondiEliminaGrazie per questo bellissimo reportage.
Ciao, Tatiana
Grazie a te, della tua esperienza della città che mi racconti.
EliminaPerchè poi la questione è che io partivo da un bel preconcetto: quello di averla vista in piena Guerra fredda e di avere quindi delle aspettative nè alte nè basse, ma comunque delle aspettative. e questo mi ha impedito ovviamente di vederla con obiettività.
Mi piace dunque confrontarmi con chi la vede e la scopre per la prima volta e conoscere così quali impressioni trasmette.
ti abbraccio, buona giornata!
A me Berlino è piaciuta moltissimo, visitata con un amico che viveva lì e che ci raccontava quel passato che noi, turisti, abbiamo percepito forte ma era un passato che non ci apparteneva. Diverso è stato per te, legato all'infanzia, ...amore e odio...lo capisco. Quello che penso è che tu non avendo vissuto il cambiamento la realtà inevitabilmente ha sbattuto contro i ricordi dolorosi. Per loro il guardare al futuro è stato talmente forte da dimenticare un passato troppo pesante, almeno credo, per te è diverso. Spero cmq che tu possa aver fatto un pochino pace con i ricordi, collocandoli nella giusta dimensione. Mi sei mancata.
RispondiEliminaAnch'io sono salita sull'asparago per vedere la città dall'alto.
EliminaAnnarita bella, mi sei mancata anche tu!! Vero, quel che dici. non aver assistito alla rinascita e averla rivista solo dopo molto tempo a cose ormai fatte deve aver inciso moltissimo sul mio giudizio.
EliminaLa percezione più fastiodiosa è stata quella di una rinascita condotta forzatamente a colpi di bulldozer, tanto che molte cose sono state in un primo momento buttate giù e poi , su richiesta, ricostruite come erano.
ma sono sensazioni personali, impressioni influenzate anche da tanti luoghi - e fatti e persone - impossibili da dimenticare.
E comunque sì, il segreto poi è collocare tutto nella giusta dimensione.
Grazie infinite, tanti bacioni immensi e buonissima settimana!
Ciao Luna :) Che bella Berlino... non ci sono mai stata ma spero di rimediare presto, mi affascina molto. Grazie per questo bellissimo post e per aver condiviso queste stupende immagini. Ti abbraccio forte, buon weekend! :**
RispondiEliminaGrazie vale, abbracci a te e buona settimana!!
Elimina(ora vengo a vedere quella magnifica torta che hai fatto per tuo nipote!)
RispondiElimina"E dà l’idea di una città estremamente confusa, ancora disgregata, proiettata al futuro avendo assolto al compitino di fare i conti col passato, sembrerebbe, giusto per gli occhi e la coscienza di chi la guarda da fuori."
Queste tue righe riassumono in parte ciò che hai scritto, capisco benissimo quello che vuoi dire, quelle che sono le sensazioni che ti si muovono dentro, l'avere rimandato a lungo il viaggio a Berlino per il coinvolgimento che comporta, quella sorta di amore e odio che si miscelano nel tuo cuore, la sensazione di estraneità ed al tempo stesso di appartenenza. Tutti quelli che conosciamo e che sono stati in vacanza a Berlino ci hanno raccontato cose meravigliose, ma sai, essere turisti significa il più delle volte, restare in superficie e cogliere solo il lato positivo di un luogo, anche perchè si sta lì per 7-10-15 giorni, senza vincoli, legami, radici, passato a risvegliare incubi o momenti che si vorrebbero dimenticare. Il muro è solo un'attrazione turistica dove scattare una foto con il sorriso a 32 denti, incuranti degli orrori ad esso legati.
Bellissimo post.
Un bacione
Sabrina&Luca
Grazie ragazzi, è proprio quello: sensazione di estraneità e allo stesso tempo di appartenenza. che ti fa vibrare di nostalgia e anche un po' di rabbia.
Eliminaper come vengono sviliti e trattati certi aspetti della storia e per la leggerezza con cui se ne affrontano altri.
al di là di tutto questo però, chi vi ha raccontato meraviglie di berlino vi ha detto anche la verità perchè la città ha tante meraviglie da offire, a cominciare da quel Pergamon Museum che da solo vale il viaggio.
Poi certo, tanti altri aspetti soprattutto della storia, forse varrebbe la pena studiarseli e approfondirli per conto proprio per poi poterli vedere meglio e rifletterci autonomamente.
vi abbraccio fortissimo, tutti e quattro!!
Bacioni grandi, buona settimana
Innanzitutto complimenti, ma proprio tanti tanti, per questo scritto (definirlo "post" sarebbe riduttivo) che mi ha interessato, affascinato ed anche (si può dire?) un po' commosso (nei passi relativi ai ricordi d'infanzia). Se non te l'avessi già detto, ti direi che sei davvero brava a raccontare (parola di prof). Stavo pensando di stampare tutto (foto comprese) per leggerlo in classe con i miei alunni di quinta (proprio in questi giorni stiamo parlando della guerra fredda e del muro di Berlino): ho il tuo permesso? :-)
RispondiEliminaUn abbraccio affettuoso!!!
Lucy bella, ti dico grazie pure qua: sei tu che hai commosso me, te possino!
Eliminaabbraccio stritoloso!!!
Lo sai che Berlino è una delle capitali europee che amo di più?? io se potessi mi ci trasferirei a vivere!! un bacio
RispondiEliminaEcco, io quello magari no, mi è bastata la prima volta!!!
Eliminabaci a te, grazie!
Bellissima descrizione me la devo rileggere con calma. Non la conosco anche ma pur avendo parenti anche stretti in Germania (sono bilingue) non ci sono mai andata per tanti motivi. Se non sono indiscreta come mai vivevi li???? Immagino che ritornarci a distanza è sempre un colpo. Anche ritornate in luoghi ove hai trascorso vacanze dopo tanti anni alle volte è delusione perchè vorresti in quel caso che certe cose non cambino mai.
RispondiEliminaGrazie di averli condivisi.
Aufwiedersehen.
Buona Domenica.
Cara Edvige, vivevo lì per il lavoro di mio padre e dalla parte Est perchè il suo ufficio, così come l'ambasciata d'Italia, all'epoca si trovavano lì. Allora anche se potevamo fare avanti e indietro con l'Ovest, tanto che io ci andavo pure a scuola, non era carino che decidessimo di vivere "dalla parte dove si stava meglio". questioni diplomatiche insomma.
EliminaChe bello che sei bilingue: lo ero anche io, anzi si può dire che parlassi meglio il tedesco che l'italiano considerando che tutta la mia vita si svolgeva lì e i miei amichetti erano tedeschi. ma poi a un certo punto, andati via da berlino e trasferiti in Arabia Saudita, dalla quinta elementare in poi ho iniziato ad andare alla scuola italiana (non senza difficoltà) e parallelamente...a non voler parlare mai più tedesco! tanto che poi in seguito mi sono buttata su studi classici e mi sono laureata in letteratura italiana!!! ...e quindi ho finito per perdere tante cose.
un bagaglio linguistico prezioso innanzitutto, e altre opportunità.
Però è più forte di me e anche se tuttora lo capisco abbastanza, di parlarlo non mi viene proprio.
Ma penso che prima o poi lo riprenderò: non è mai troppo tardi! se abitassimo vicino verrei da te a fare conversazione!!!!
Grazie a te, di esserci sempre.
ti abbraccio fortissimo, buona settimana
Ti capisco perfettamente ed è giusto quello che racconti di prima d'altra parte era stata una scelta obbligata non per meglio vivere. Guarda che la lingua appresa da bambini è difficile dimenticarla e basta poso per riprenderla ma non ti sforzare è la vera volta che non viene fuori....Oggi l'inglese predomina, prima era il francese e tedesco il più usato, i periodi che si sono susseguiti hanno scelto per tutti e quindi bisogna seguire perchè purtroppo rientra nell'utilità personale. Dove sei vissuta dopo l'inglese sarà stata l'altra nuova lingua come pure l'arabo...credo quindi altre acquisizioni utili...dottoressa!!! Io vedo parlando di lingue che non praticandole tedesco, inglese e francese quella che rimane e bastano 3 giorni di full immersion è proprio il tedesco col quale pur freguentando scuole e vivendo in italia non ho mai dimenticato e basta poco. Mentre le altre due acquisite poi, inglese è difficile scordare è una costante di giornata ma il francese si perde un pò sopra tutto come vocaboli.
EliminaGrazie di aver esaudito la mia curiosità, scusa il commento lungo, ti auguro una buona settimana e un bacione. Ciaoooooo
Guarda: dei commenti lunghi non devi assolutamente scusarti perchè come avrai notato sono la priama a eccedere in caratteri e a non regolarmi proprio! Non ho infatti il dono della sintesi e mi piace scrivere, leggere e confrontarmi, quindi nei commenti lunghi sguazzo proprio!
RispondiEliminaE poi anzi grazie dell'incoraggiamento. non mi sforzo di riprendere il tedesco perchè quello che dici è verissimo e fino a poco tempo fa mi urtava anche solo quando mi chiedevano "come si dice questo", "come si traduce quell'altro".
Deve essere spontaneo e venire da me: hai ragione.
ma come ti dicevo, penso che prima o poi verrà e questi giorni a berlino mi sono resa conto di ricordarmi tante cose che nemmeno immaginavo!
Grazie a te cara edvige, è sempre un vero piacere leggerti!
bacioni a te
grazie proprio un bel servizio su berlino molto completo, brava
RispondiEliminaGrazie a te Carmine, felice che ti sia piaciuto!
EliminaEd eccomi qua. Naturalmente oramai hai imparato a conoscermi... Manco per un po' ma poi rimango letteralmente sempre affascinata da come scrivi, di quello che scrivi. E delle emozioni che riesci sempre a trasmettere sia quando sei ironica, sarcastica, sia come in questo caso quando fai emergere un dolore secondo me mai superato. Non hai mai fatto pace con Berlino, secondo me. Io non so dirti di più. E' una città che non conosco. il tedesco è una delle lingue che studiai e che purtroppo odiai perché il corpo insegnante che avevo ha fatto del tutto per farcela odiare. Mai fatto venire voglia di conoscere la Germania, i suoi abitanti e le sue tradizioni. Tutt'altro. Hanno fatto in modo e maniera di farcela odiare, con tutto il cuore e farcene staere veramente lontani. E non mi sto inventando niente. Peccato. Chissà forse un giorno ci andrò, la vedrò con gli occhi di una turista e mi verrai in mente tu, con le tue amarezze... e il tuo dualismo, che ogni tanto traspare. Un "racconto" bello. Sarebbe degno (come ho avuto modo di dirti altre volte) di far parte delle pagine di un libro. Scrittrici si nasce. E tu... lo "nacqui"!
RispondiEliminaHo trovato il tuo blog per caso e ho trovato dei post in giro per il mondo veramente interessanti.
RispondiEliminaGrazie per farmi conoscere delle parti di mondo che non vedrò mai.
Ti prego, se mi scrivi non inserirme fra le cerchie ... stò fuggendo da tutte queste impostazioni morbose che ti obbligano a ripetere le cose all'infinito e poi quando cerchi l'indirizzo blog che ti interessa, la maggior parte delle volte non lo trovi.
Buona giornata e buon ponte di fine aprile.
Mandi
Ciao Rosetta, grazie a te della visita e dell'apprezzamento! Quanto ai meccanismi del web, fra cerchie, google+ e compagnia bella, ti capisco perfettamente e pur trovandomene completamente invischiata ormai, ti confesso che "le cerchie" non ho mai capito a cosa servano e perchè le abbiano introdotte. Prima c'erano al massimo i "lettori fissi", l'elenco personale dei blog...e tanto bastava! Ma le cose si complicano sempre di più.
EliminaNon ti inserirò, promesso! torna a trovarmi quando vuoi, mi farà piacere.
Un abbraccio e buon ponte a te!