Con i bambini
funziona così.
Le mamme lo sanno, ma anche le tate.
Queste ultime anzi, preposte a occuparsi di loro
essenzialmente per il lato ludico di tutta la faccenda, oserei dire, sperando
di non peccar di presunzione, che lo sanno ancora meglio.
Un gioco non è un gioco.
Un gioco diventa abitudine, rituale, piccola ossessione e
reiterata mania.
Si va a periodi, e ci si immerge talmente tanto e con tutte
le scarpe nelle varie questioni che tutte le ore di tutti i giorni di tutti i
mesi di un intero anno, trascinati per mano dai piccoli gnomi, si fatica a
credere di poter vivere in un mondo diverso.
C’è il periodo di Winnie Pooh, dove la cameretta non è più
il luogo dove si va a dormire, ma il ben più attraente Bosco dei Centro Acri,
dove puoi incontrare e interagire solo con i suoi abitanti e ogni mugugno, ogni
sillaba a stento pronunciata, ogni gridolino entusiastico riporta
inevitabilmente all’orsetto goloso (sempre alla ricerca di un vasetto di miele),
all’asinello I-Ho (con vezzoso fiocco rosa sulla punta della coda che fa a
cazzotti con il suo temperamento imbronciato e costantemente sull’orlo della
depressione), al maialino Pimpi (e la sua voce in falsetto), al saltellante
Tigro (tutt’altro che feroce), al saggio gufo Uffa (sempre con il libro sotto
l’ala e pronto a raccontare storie), al previdente coniglio Tappo (che siccome
nella vita non si sa mai, intanto si coltiva il suo orticello di carote), fino
al piccolo canguro di nome Ro che anziché camminare o saltare come tutti i
canguri del mondo, sonnecchia perlopiù nel marsupio della sua mamma (Canga,
nota produttrice di fantasmagorici biscotti con gocce di cioccolato per tutta
la banda).
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Poi si cresce un po’ e si passa al periodo della macchinine,
dei motori rombanti e delle gare fra bolidi, alle prese con la Piston Cup e ricevendo in
dotazione, secondo l’umore gnomesco della giornata, al massimo uno sbrindellato
Cricchetto
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o un goffo, seppur simpatico, trabiccolo come Fillmore
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che certo non possono
competere con lo scintillante Saetta mc Queen.
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Che almeno avessi avuto
un Francesco Bernoulli,
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me la sarei potuta giocare meglio, ma il punto è proprio
quello: devo perdere. E fingermi costernata, abbattuta, sconfitta pesantemente.
(io comunque preferisco sempre il giapponese Shu Todoroki ma soprattutto la di
lui fidanzata, esperta danzatrice Kabuki).
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Col passare del tempo, nel volgere dei mesi, si passa a
giochi più impegnati, certificati, sostenuti da volumi, dispense e tomi a
riguardo.
Tanto da guardarsi indietro con un pizzico di nostalgia, a
quando i dialoghi erano soltanto un botta e risposta di due, quattro parole al
massimo: “Ciao sono Pimpi!” “Ciao sono Tigro!!” “Giochiamo insieme?” “Sì!!”
Punto, che il vocabolario di un bimbo di 2 anni mica è tanto
più esteso.
Ma poi lo diventa.
Si amplia, si arricchisce, si gonfia, si stratifica.
Ed è emozione pura.
Ma anche nuovo impegno.
I giochi si fanno sempre più seri.
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Che maneggiare dinosauri non è questione da niente: bisogna
sapere se sono erbivori e carnivori come minimo.
Se volano, nuotano o corrono.
Se dispongono di colli lunghi, corni appuntiti, placche
ossee o protuberanze del cranio che li fanno sembrare panettoni venuti male, ma
guai a dirlo.
Se combattono a testate, codate, morsi, zampate o beccate.
E poi essere pronti e molto preparati sui nomi.
Che va bene le grandi famiglie, ma la precisione
innanzitutto ed è una bella differenza quella che intercorre tra un Triceratopo
e un Protoceratopo.
E un Polacanto mica è uguale a un qualsiasi altro
Ornitischio, pur se con qualche somiglianza (guardare, osservare, fermarsi a
riflettere….non lo vedi che questo ha la
coda con una specie di sasso all’estremità?!).
Imparare innanzitutto che, nonostante l’aspetto non proprio
rassicurante, non sono “mostri” ma dinosauri, animali preistorici.
E ce ne sono di buoni e di cattivi.
Guai a provare a semplificare i nomi ricorrendo a vezzeggiativi: un animale con
zampe pinnate, bocca lunga e dentata, che vive nell’acqua non è un
“coccodrillo” ma un Liopleurodonte.
Le protuberanze sulla schiena di uno Stegosauro non sono
“spine” ma placche ossee.
Un Pachicefalosauro non ha uno scolapasta rovesciato in
testa, come potrebbe sembrare di primo acchito, ma una conformazione cranica
tale che gli consente di vincere i suoi nemici (e guai a chiamarla
“cucuzzella”, quella testa lì).
Poi bisogna essere scaltri nello stabilire forza e potenza:
un T-Rex avrà (quasi) sempre la meglio.
Tuttavia un branchiosauro col suo lunghissimo collo (sempre
secondo i giorni e l’umore) potrebbe dargli del filo da torcere.
E se poi ci si imbatte nella visione di un film dedicato,
che ha come protagonista un certo Aladar, può essere benissimo che un semplice Iguanodonte
diventi di colpo il più forte di tutti.
Come? Con quali armi a
disposizioni? Ma se è uno scricciolo al confronto?, verrebbe naturale a una
mente adulta chiedere anche alterandosi un po’.
Un bambino però queste domande non se le pone, non si fa di
questi problemi, non si arrovella in inutili cavilli.
È così e basta.
Almeno per oggi, poi domani è un altro giorno.
E intanto per quel giorno voi, anche se declassati e
depotenziati, improvvisamente ridotti a mammolette e senza più un briciolo di
appeal, potrete finalmente maneggiare un T-Rex o un brachiosauro:
approfittatene!
Imparate i suoni, i richiami, i vocalizzi distinti per
specie.
Siate pronti a venire corretti e riportati sulla retta via.
Sappiate che quando il branco si mette in fila è per andare
a cercare acqua.
Non fate domande sciocche, non proponete giochi da poppanti.
Proposte come “mettiamo i dinosauri tutti in fila e li
contiamo?” verranno accolte con sguardo compassionevole e qualche volta una
carezza di conforto
Anche una concessione, a volte: “e vabbè, famola contenta questa va”, che certo non vi farà cantare
vittoria.
Ma i giochi dei bambini insegnano tante cose:
la capacità di astrazione
la fantasia totalizzante
la leggerezza
la serietà delle cose più piccole, apparentemente futili
il qui e ora
Ed è un arricchimento costante.
Un unico rammarico alberga ancora di tanto in tanto nel mio
animo inquieto.
Nella mia lunga carriera di tata, mi sono occupata di maschi
e di femmine.
Ma queste ultime sempre secondogenite.
Bimbette specialissime e indipendenti.
Determinate e furbette.
Che ovviamente, essendo seconde, devono imparare presto
a cavarsela da sole, a farsi spazio, a
guadagnare la loro dose di attenzioni e di gratificazioni.
Che con la scusa che “il grande è geloso” rischierebbero,
altrimenti, di rimanere nell’ombra.
E quindi sono sempre pronte a rubare con gli occhi, ad
assorbire dai fratelli maggiori, veri e propri eroi mitologici ai loro occhi,
ogni gesto, ogni azione, ogni piccolo particolare che possa farle assurgere
allo stesso livello di prestigio, con la capacità straordinaria però di lasciar
andare quello che non serve.
Quanto più i fratelli maggiori sono accentratori e
all’occorrenza piagnucolosi, tanto più loro saranno scaltre, intraprendenti, oltremodo
simpatiche e all’occorrenza anche un po’ cinichelle.
(L’eroe sta piangendo?
ok, è il momento giusto per fregargli il suo dinosauro preferito e scappare!)
E di certo non si piegheranno a giocare con un bambolotto,
un servizio di tazzine di porcellana o le pentoline con la frutta e la verdura
di stoffa dell’ikea.
Per essere proprio al passo con i fratelli maggiori,
saltando a piè pari la fase del Bosco dei Cento Acri devono, anche loro,
imparare presto a destreggiarsi con dinosauri, brandendoli come armi letali e
accompagnando ogni gesto con sonori e cavernosi ruggiti.
Pur con l’aria angelica e i boccoli al vento.
È per questo che continua, negli anni, a rimanere frustrato
il mio desiderio di armeggiare nuovamente una Barbie.
Con tutti i suoi vestiti, le scarpe, gli accessori, il
camper e la casa rosa a 3 piani.
Ken e Skipper a fare da contorno.
Le bambine moderne non ci giocano più.
Mica come noi che creavamo un vestito da sposa con i tulle
delle bomboniere e scintillanti abiti da sera con i fazzoletti di stoffa delle
nonne.
Certo, se fossi stata bambina in questa epoca, avrei esagerato proprio
e la mia Barbie l'avrei portata pure da questo parrucchiere/salone di bellezza per
bambole che ho visto a New York!
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Niente di particolarmente innovativo rispetto a una 7
vasetti, che come al solito da queste parti diventano 9, 10, in alcuni casi pure
11….ma la torta allo yogurt è di quelle che non tradiscono mai, che tornanoutili in tante situazioni, che puoi declinarle in mille modi diversi senza
stancarti mai.
Perfino farci una "Sacher"
Una premessa è doverosa: la parte cioccolatosa, nel caso di
questa torta è veramente accessoria e se ne potrebbe tranquillamente fare a
meno, soprattutto per i puristi dei sapori delicati e a maggior ragione per gli
amanti del cocco.
È che un po’ di cioccolato non guasta mai, ma già da sola, è
così buona, così profumata, così morbida che tra colazione, merenda e
confortini vari, tempo una giornata e finisce: garantito.
Ingredienti (per
uno stampo da 26 cm
di diametro)
- 4 uova intere
- 2 vasetti di yogurt al cocco (imbattibile quello della
marca che “fa l’amore col sapore….”)
- 3 vasetti di farina 00
- 2 vasetti di farina di cocco
- 2 vasetti di zucchero
- 2 cucchiai colmi di cacao amaro in polvere
- 1 vasetto di olio di semi di girasole
- 1 bustina di lievito in polvere
- 1 bustina di vanillina
- 1 pizzico di sale
Procedimento
Preriscaldare il forno a 170°. In una ciotola capiente sbattere
molto bene le uova con lo zucchero e il pizzico di sale finché non diventano
bianche e spumose. Unire lo yogurt e il latte, quindi aggiungere
progressivamente la farina setacciata con il lievito e la vanillina,
continuando a mescolare. Aggiungere da ultimo il cocco e versare il composto in
uno stampo oliato e infarinato, lasciandone 1/3 nella ciotola.
Amalgamare a questa piccola parte i due cucchiai di cacao e
versare sopra il composto bianco. Cuocere per circa 35-40 minuti, secondo il
forno.
Fare sempre la prova stecchino.
La fase dinosauri da me è durata poco poi sono arrivati i supereroi, la differenza tra bene e male, i combattimenti, la fine orrenda del cattivo. Ora è la fase delle carte yugioh e partite interminabili dove io potrei essere un robot tanto non ci capisco nulla ma tanto vale...devo perdere e basta. In contemporanea c'è il ballo, sudori infiniti per cercare di batterlo a just dance con la wii. Però giuro mille volte questo che le Barbie, o Violetta ...sarà perchè sono sempre stata un maschiaccio?.
RispondiEliminaLa ciambella è classica ma sempre piacevole, quella consistenza soffice che mi fa colazione o un tè delle 5. Baci baci.
"il gioco e' l'attivita' piu' seria per un BAMBINO".Giocare e' crescere!!!!!Complimenti per il ciambellone!buon we
RispondiEliminaAhahahahaah nella prima parte del post hai descritto alla perfezione le fasi del nostro nipotino.. che ora ha quasi 5 anni.. ed è nella fase dinosauri!!! Le bimbe.. sino ad ora.. nessuna tra i miei amici..solo maschietti.. Io morirei per toccare ancora una Barbie.. ma davvero non ci giocano più le bimbe moderne? :-( che tristezza.. meglio essere vissuta nel lontani anni 80 allora :-D.. Ottima la 7..8..9...10.. ecc.. vasetti! Bella versione cocco e bicolore.. smack e buon w.e.
RispondiEliminaallora, ti piace vincere facile? chi potrebbe resistere alla primo odore goloso di casa, quello del ciambellone?
RispondiEliminamia madre era una pippa nei dolci, le veniva bene solo il creme caramel, e capisci bene che la mattina a colazione diventa impegnativo...
ma ricordo con tenerezza e gola quel paio di volte in cui si è sbagliata ed ha procreato un dolce da fare a fette... ricordo l'odore del cremor tartaro...