Tale e tanta è stata la gioia di ritrovarmi all’improvviso
ad avere del tempo tutto per me che mi è venuto istintivo, naturale, quasi
vitale, lanciarmi in attività al limite dell’umana decenza.
Come per esempio quella di accendere il forno un giorno sì e
l’altro pure, al punto da finire preda di crisi mistiche e sentir crescere
forte e chiara dentro di me la voglia di polenta, crostini stracchino e
salsiccia, strudel di mele e piatti rigorosamente invernali, possibilmente
ipercalorici e vergognosamente grassicci.
O come quella di stirare, in pieno luglio, giusto in
concomitanza con quel timido e fugace accenno di caldo vero, mentre imperversava il primo ( attesissimo, considerata la stranezza climatica di questa estate) passaggio di Caronte e il termometro sfiorava, allegramente, i 35°.
Attività peraltro, da quel famoso momento in poi, subitaneamente abbandonata dalla sottoscritta e delegata vita natural
durante, nei secoli dei secoli a venire, al volenteroso amato bene.
Che non aveva capito, sul momento, di aver azzardato una
mossa incauta.
Della quale avrebbe pagato le amare conseguenze a vita.
Di essersi fregato per sempre, insomma.
Per tutto l’inverno infatti s’è stirato autonomamente camicie
della divisa e magliette (sue e mie) uscite un
po’ troppo stropicciate dai 1200 giri di centrifuga utili all’asciugatura
col tempo brutto.
Di quelle da non poter proprio solo acciaccare col palmo della mano e sedercisi sopra con tutto il peso
per “stirarle” alla buona.
Qualche volta s’è stirato pure una camicia mia, un pantalone
messo lì, a caso, in attesa che qualcuno, sempre a caso, si prendesse la briga
di poggiarlo sull’asse, passarci sopra la piastra rovente, sbuffarci
quattro-cinque svaporate e riportarlo così all’antico splendore.
Insomma, sono stata completamente sollevata dal compito di
prendermi cura della montagna di panni da stirare (e pure da raccogliere dallo
stendino perché a quel punto uno approfitta, coglie l’attimo e tende a levarsi
di dosso, in un sol colpo, più mansioni possibile).
Che poi, come li ritira lui, i panni dallo stendino, come li
ripiega, come li rimette a posto…io non potrei mai!
Raggiungere vette così alte di perfezione.
E quindi ecco il tutto è finito per diventare assolutamente,
esclusivamente, compito suo.
Insostituibile e inarrivabile.
Tanto che io ho dimenticato perfino come si carica la
caldaietta del ferro da stiro (“Ma te lo
ricordo io, se vuoi”, si offre sempre speranzoso l’amato bene. E io
approfitterei pure di tanta generosità se non fosse che, appunto, non mi
sognerei mai di toglierli il primato faticosamente raggiunto dei 5minuti a camicia, non uno di più!)
Tuttavia, dicevo all’inizio, tale e tanta è stata la gioia
di ritrovarmi un po’ di tempo libero in più e così innato e duro a morire il
desiderio di prendermi ogni tanto amorevolmente
cura di lui, che un bel giorno, l unico, dal solstizio d estate in poi in cui abbia fatto veramente caldo, alle ore 14:35, mentre la casetta ardeva
come la cupola imbiancata di un forno a legna, le candele in bagno trasudavano
autonomamente olii aromatici e le piante in balcone avvizzivano senza scampo
sotto i raggi implacabili del sole, gelsomino siciliano compreso, io, caricata
l’acqua nella caldaietta, sguainata l’asse da stiro, inforcavo decisa la spina del
ferro da stiro nella prima presa utile.
Sbuffi di vapore presero a investirmi senza pietà,
avvolgendo e inghiottendo in una nuvola calda, densa e fumogena, tutto il poco
ossigeno rimanente.
Ma sprezzante del pericolo e con adamantina dirittura
morale, affrontavo indomita ogni successiva azione.
Colletto, polsini, staffe per i gradi, taschino, lo spazio
fra i bottoni…via via la camicia prendeva la sua forma originaria e le pieghe
si spianavano sotto i colpi della piastra rovente, da mke sapientemente
guidata.
E più spianavo più mi sentivo realizzata, felice,
soddisfatta, in una parola: a casa.
Ritrovando gesti dimenticati, azioni rimosse, movimenti
accantonati per tanto, troppo tempo.
In attesa del ritorno dell’amato bene, per mostrargli tutta
orgogliosa la buona azione quotidiana.
Sguardo sbigottito, bocca spalancata per la sorpresa,
incredulità dipinta sul volto:
“No!! Hai stirato?!?!”
Annuisco con sguardo fiero e aria superiore, alzando appena
un sopracciglio.
(non è necessario specificare di aver impiegato quaranta
minuti buoni per arrivare a un risultato apprezzabile…)
“Una camicia.
Di tutto punto.
Trovami una piega e
ricomincerò da capo”, lo sfido ebbra si soddisfazione e di indomito valore.
Ci pensa solo un attimo, e getta la spugna
“No, no è che domenica
vojo annà ar mare: così fai piove tutta la settimana! Lascia sta che ce penso
io!!”
Basta davvero poco a ridefinire ruoli, distribuire equamente
i compiti di casa e far passare il tutto per scelte autonome e per niente
condizionate.
@@@@@@@
Devo assolutamente comprarmi uno stampo a cerniera da 22 cm di diametro. Perché
questa torta qua l’ho fatta nel solito stampo da 26, ma per me la cheesecake,
fredda o calda, light o ipercalorica che sia, deve essere alta almeno almeno 3
dita.
E quindi ecco, per stavolta è andata così, ma voi usate pure
uno stampo più piccolo, che il risultato sarà ancora più goloso!
Da preparare rigorosamente il giorno prima, o al massimo la
mattina molto presto per il dopo cena.
Ingredienti (per
uno stampo a cerniera da 26 cm
di diametro)
Per la base:
300 gr di biscotti tipo digestive
100 gr di burro
Per il ripieno:
500 gr di yogurt greco Total 0%
200 gr di Philadelphia balance 3%
70 gr di zucchero a velo
5 fogli di colla di pesce
Un goccio di latte
Per decorare:
1 vaschetta di more
1 vaschetta di ribes rosso
1 vaschetta di mirtilli
Procedimento
Tirare fuori il panetto di burro dal frigo e lasciarlo
ammorbidire.
Mettere a bagno la colla di pesce in acqua fredda.
Preparare innanzitutto la base, imburrando uno stampo a
cerniera per poi ricoprirlo interamente di carta forno che in questo modo
resterà ben distesa su fondo e bordi.
Raccogliere i biscotti in un sacchetto di plastica e
prenderli a matterellate finchè non
si sbriciolino grossolanamente.
Dopodichè, unire il burro ormai morbido e
impastare il tutto fino a ottenere un impasto simile a sabbia bagnata (e
appiccicaticcia).
Disporlo sul fondo dello stampo, schiacciare col palmo della
mano per livellare bene la superficie e riporre in frigo.
Mettere lo yogurt e il philadelphia in una ciotola capiente,
unire lo zucchero a velo e lavorare qualche secondo con le fruste elettriche.
Mettere due dita di latte in un pentolino su fuoco basso e
non appena sarà tiepido, unirvi la colla di pesce strizzata. Farla sciogliere
mescolando con cura e unire al composto di yogurt e formaggio.
Riprendere la base dal frigo e disporvi sopra la crema,
livellando bene con il dorso di un cucchiaio inumidito e lasciarla in frigo a
rassodare tutta la notte.
Al momento di servirla, passare la lama di un coltello
intorno al bordo dello stampo, aprire la cerniera e decorare la torta a piacere
con i frutti di bosco o altro.
Aahahahahahhaha ma come hai il tuo amore che stira.. e tu in un giorno rovente pensi di stirare?? ma che te posino! Io son fortunata in altris ensi invece.. Ric usa camicie che non hanno bisogno di essere stirate.. più che altro a lui non frega poi molto.. e che chiul!!!!!!!!!!!!!!! Le magliette non le stiro mai.. ovvero. si stirano con il calore delle mie belle manine quando le piego! Quindi io stiro solo pantaloni che grazie al cielo non è che si lavano tutti i giorni .-D... Ottima invece la tua cheese cake.. mi piace molto... baci e buon w.e. :-)
RispondiEliminaSe Michele stirasse mi guarderei bene dal provarci anche solo una volta ,,,non è che posso approfittare del tuo e spedirti un pò di roba? la cheesecake è da sturbo...
RispondiEliminamolto incantevole la torta con yogurt greco ma molto divertente il racconto di vita casalinga mi ha molto divertito e anche fatto riflettete
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