Innumerevoli
decisioni si impongono nelle lunghe giornate di questo isolamento forzato.
A cominciare
dal mattino: vestisti o rimanere in pigiama? Truccarsi o impegnarsi a fare le
vaghe ogni volta che si passa davanti a uno specchio?
Pettinarsi o
lasciare che la natura, il caso, il tempo trascorso tra i vapori delle verdure messe
a bollire faccia il resto?
Analizziamo
punto per punto.
Quella di
rimanere in pigiama è una tentazione con la quale personalmente mi misuro ogni
giorno, specie in caso di maltempo.
Che esercita
un fascino sempre ammaliante su di me ma con il piccolo dettaglio che mi piace
solo quando il mondo, lì fuori, corre e fa rumore. In questo immobile silenzio
attuale invece il mio bel pigiamone felpato non sortisce particolare attrattiva
e quindi decidere di vestirmi, alla fine, non costituisce tutto questo sforzo.
Scelgo di vestirmi ma non mi sento eroica.
Con la tuta, eh? Che mica serve tanto.
In questa
quarantena una delle cose che mi tengono più impegnata in effetti è il cambio
d’abiti. Dal pigiama ai leggins per fare sport, dai leggins alla tuta da casa,
dalla tuta nuovamente al pigiama.
Ma poi
arriva il giorno designato per la spesa settimanale e lì, la faccenda si fa
seria. La scelta degli abiti deve rispondere a precisi criteri di:
a) Praticità
b) Lavabilità ad alte temperature una
volta tolti che non si sa mai e la paranoia non è mai abbastanza
c) Estetica
d) Almeno un minimo
A quel punto
tra i leggins per lo sport mattutino e la tuta da casa si inserisce un
ulteriore cambio per indossare quello che a tutti gli effetti assurge a vestito
della festa come manco in casa Ingalls si faceva la domenica per andare a messa
(…sto parlando de “La casa nella prateria”).
Di solito si
tratta di un’altra tuta, più caruccia, meno sbrindellata, possibilmente nera o
blu, colori che anche in questi frangenti conservano pur sempre la loro
eleganza e foulard abbinati da stendere come velo sulla mestizia imperante. Una
botta di vita incredibile che fa emozionare al solo pensiero di doverli scegliere
ogni volta e restituisce una vaghissima parvenza di quei tempi, lontanissimi,
in cui per uscire si calzavano scarpe diverse da quelle da ginnastica e si indossavano
perfino gli ormai mitologici jeans!
E arriva il
momento di truccarsi. Anche prima di questo periodo non è che fossi maestra di
make-up, la mia seduta di trucco si esauriva in pochi gesti e soli 3 elementi:
mascara, matita, lucidalabbra.
Anticipati
però da un bello strato uniformante di BBCream, che per chi non fosse avvezzo
sarebbe la sorellina piccola e ancora ingenua del fondotinta. Tanto per coprire
trascurabili imperfezioni (non certo le rughe) e donare un colorito vagamente
più sano di quello da internamento coatto.
Ecco tutto
questo, ad eccezione della voce “lucidalabbra”, lo eseguo, diligentemente,
anche ora, ogni mattina. Sempre con umiltà.
E con grande
dispiacere per il gloss, per l’appunto, che fra i tre era il mio preferito, ma la
cui esistenza ora si rivela perfettamente inutile, soppiantato com’è dalle due
logiche stringenti: averlo quando si sta in casa significa poi doverlo
sgrassare via dal bordo dei bicchieri; fuori casa verrebbe coperto dalla mascherina.
E veniamo al
tasto più dolente: i capelli.
Portare un
taglio cortissimo e geometrico a briglie sciolte senza vedere un parrucchiere
per oltre due mesi significa coltivare il gusto per l’horror.
Di metterci
mano da sola non ho animo, ma anche cercare di gestirlo nella sua crescita
incontrollata riserva colpi all’autostima non indifferenti. Sono riuscita ad
ovviare la questione “capelli bianchi” facendomi consegnare a casa, da
un’erboristeria di buon cuore, quintalate di hennè rosso mogano, che dona anche
l’illusione di essersi fatti strategici colpi di sole.
Ma sulla
gestione di vertigini, capelli elettrizzati, chiome a salice piangente, non ho
ancora trovato soluzione. A complicare il tutto ci si mettono gli elastici
della mascherina. Due: uno ad altezza nuca, che spara in alto i capelli più
corti, l’altro a metà testa, che schiaccia irrimediabilmente quelli più lunghi
e deforma le basette.
Così, tanto
per apparire ancora più belle!
Ma a casa la
mascherina non si porta e allora è tutto un profluvio di cerchietti,
mollettine, elastici non certo per renderli presentabili che tali non sarebbero
nemmeno nelle mani di Shu Uemura, quanto, almeno, per toglierli da davanti gli
occhi e tornare a vedere il mondo circostante.
Sia pure da
una finestra.
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La ricetta
di questi dolcetti è della bravissima Lety del blog “Senza è buono” Non avevo la farina di carrube e quindi ho seguito il suo suggerimento di
sostituirla con del cacao amaro, cui avrei dovuto aggiungere dello zucchero, ma
non volendo utilizzare quest’ultimo l’ho sostituito con 4 datteri denocciolati.
Mi è strapiaciuta la crema alla banana e questo abbinamento con il caffè e il cioccolato.
Nel link la ricetta originale, di seguito la mia versione con pochissime
varianti.
Ingredienti (per uno stampo rotondo da 18 cm o
uno quadrato da 16; io ne ho usato uno rettangolare 20x30 e sono venuti più
bassi)
Per la
base
120 gr di
farina di riso
50 ml di
olio di riso (o di semi)
30 ml di caffè
(una tazzina circa)
15 gr di
cacao amaro in polvere
4 datteri
denocciolati
2 uova
6 gr di
bicarbonato di sodio
50 ml di
aceto di mele
Per la
crema di banane
1 banana
molto matura (circa 100 gr)
1 uovo
40 ml di bevanda
vegetale
30 gr di
maizena (o fecola di patate)
Inoltre
Crema di
nocciole e gocce di cioccolato extrafondente (facoltativi)
Procedimento
Preriscaldare
il forno a 180°. Preparare il caffè e lasciarlo raffreddare.
Frullare tutti
gli ingredienti per la base tranne l’aceto e il bicarbonato che andranno
mescolati a parte in una ciotolina, fatti reagire e uniti subito dopo all’impasto.
Versare nella
teglia rivestita di carta forno e passare alla preparazione della crema di
banana frullando tutti gli ingredienti indicati.
Versare la
crema sull’impasto scuro per creare la variegatura (io non ho mescolato e ho
preferito lasciare così). Quindi decorare a pèiacere con cucchiaiate di crema
di nocciole e/o gocce di cioccolato e cuocere per circa 25-30 minuti secondo il
forno.
Lasciare raffreddare
prima di tagliare a cubotti.
Cavolo, ci metti il caffè!
RispondiEliminaDeliziosi.
Comunque, non ho io il coraggio di tagliarmi i capelli, posso immaginare voi donne... che vuoi fare, saremo tutti horror da età della pietra...
Moz-
Io adoro i dolci al caffè e sì...non vedo l'ora che riaprano i parrucchieri!!
EliminaIn effetti anch'io non faccio fatica a togliermi il pigiama. Nelle prime due settimane di reclusione i miei outfit sono stati comodi, poi mi è presa la voglia di sfruttare tutto quello che ho da mezza stagione giusto per non aver fatto il cambio dell'armadio per niente...sono arrivata anche ad indossare svolazzanti vestitini per portare il cane in fondo alla strada :-P in più mi sono messa a studiare tutorial per disegnare con l'eye liner delle scenografiche righe e code (alla Adele per intendersi) quindi chi mi incontra penserà che sono una pazza :-P
RispondiEliminaGolosissimo questo mix di sapori, mi hai fatto venire voglia..
Ahahaha no invece, sei una grande, Consu! Eye liner e vestitini svolazzanti sono quello che ci vuole per tirarci su di morale e, come dici tu, per non avere l'impressione di aver fatto il cambio di stagione a vuoto!
EliminaBravissima, hai tutta la mia ammirazione!!
Chissà che buoni.
RispondiEliminaAllora il mio decalogo è:
MAI in casa in pigiama, ciò con cui si dorme non può essere ciò con cui si sta svegli.
TUTA TUTA anzi TUTE si cambiano spesso, non si stirano e via
Per la spesa: felpa (talvolta della tuta) e jeans.
Trucco no in casa no per la spesa praticamente attualmente MAI, talvolta mi faccio una maschera, talvolta metto la crema antirughe.
CAPELLI phon defunto oltre un mese fa, ormai incolti, non li taglio dal 28 settembre perché ero indecisa tra rifare il caschetto o scalarli dai vado a fine febbraio e il patatrac. Vado ben volentieri di coda.
Anche io ero indecisa se farli ricrescere da cortissimi che erano, ma poi la scelta è diventata obbligata ed eccomi qua: con un mocio vileda al posto del mio bel taglio geometrico. ancora troppo corti per poter fare la coda, quindi vado di...orrore...mollettine per poterci vedere!
EliminaGrazie della visita, Sandra!
Mi hai strappato le solite consuete doverose risate: sto ancora boccheggiando sul pc (di casa, sia chiaro), mii è appena partito un hard disk esterno con due mesi di lavoro e le risate erano doverose. Almeno quelle.
RispondiEliminaIo vivo in pigiama sino a metà mattina, poi riprendo il controllo su me stessa e passo a leggins e felpa, giusto per mantenere il tono dell'eleganza, niente trucco ma un velo di terra quando esco con i cani, niente mascherina perchè ho un'allergia folle e piuttosto che schiattare d'asma preferisco indossare un foulard da alzare sul volto a mo' di Zorro quando passano le pattuglie, praticamente mi devo nascondere come una ladra! Per il resto, in tutta onestà, finchè lavoro da casa è gioia pura, pregando sempre di non avere ulteriori problemi informatici (che già i due tera del dischetto mi stanno sullo stomaco, visto anche la botta di soldi del MIO materiale informatico, in quanto l'ufficio non mi ha dotata nemmeno di una penna).
Guarda, vado a consolarmi leggendomi tutte le tue prelibatezza e facendomi coraggio perchè se l'assenza del parrucchiere non mi agita quella dell'estetista sì, non so se è messo peggio il dischetto del pc o le mie unghie...
Un bacio cara Luna!