Per il
breve, fugace attimo di una mezza giornata, ci allontaniamo dal caos infernale
di Bangkok per ritrovarci fra le rovine
della vecchia capitale del Siam, Ayutthaya.
La
raggiungiamo dopo due cambi di metro, un lungo (ma interessante) percorso a
piedi alla periferia di Bangkok e il viaggio di poco meno di due ore a bordo di
un minivan prenotato dall’Italia.
All’arrivo,
prenotazione alla mano, ci danno due biglietti e ci indicano il nostro bus fra
tanti in un enorme parcheggio sotterraneo.
Nonostante
all’atto della prenotazione si debba specificare anche l’orario prescelto,
questi minibus partono solo una volta che si sono riempiti.
Con molta
calma.
E raccolgono
diversi tipi di passeggeri: lavoratori, studenti, turisti.
Anche sulle
fermate molta flessibilità: ci sono quelle ufficiali, ma noi abbiamo visto
fermarsi l’autista nel nulla, solo al cenno di una persona lungo la strada,
così come accordarsi con i passeggeri a bordo su dove preferissero essere
lasciati.
Ad Ayutthaia
troviamo, se possibile, ancora più caldo che a Bangkok.
E poi, magnifici resti di templi,
parchi sconfinati con piccoli specchi d'acqua (o erano miraggi?),
statue di Buddha (anche conficcate in tronchi d’albero),
canto di uccellini e timidi refoli di vento che,
seppure molto simili a quelli di un
asciugacapelli sparato al massimo, danno quasi un' illusione di
piacevolezza. Sebbene i termometri continuino a segnare 36,7°C e
3BMeteo a specificare che "percepiti sono 40".
Con un caldo
così torrido, la visita di quella che è una sconfinata distesa di templi, resti
di palazzi nobiliari e gigantesche stupa, si rivela veramente difficile.
L’organizzazione
è capillare: un biglietto cumulativo per la visita dei cinque templi più
importanti, rivendite di acqua fresca, molteplici bagni ben segnalati, dei
gazebo con panche e sedie sotto i quali rifugiarsi ogni tanto.
Più che
turisti, troviamo numerose scolaresche in gita delle quali mi diverto a
osservare le uniformi.
Diverse, a
seconda delle scuole, per colore e abbinamenti.
Quando la situazione si fa del tutto insostenibile, ci rifugiamo in un bel locale con aria condizionata dove mangiamo (molto bene) e ci attardiamo per oltre un’ora,
prima di decidere di fare ritorno
alla stazione del bus, rinunciando a
visitare l'ultimo tempio che dei cinque previsti (il più lontano!) e
anche a cercare una bancarella di “roti sai mai”, il più famoso dolce della
città (inventato proprio qui), che avrei tanto voluto assaggiare.
A bordo del minivan ci sono temperature glaciali.
Ovviamente dobbiamo aspettare che si riempia, ma poi ci facciamo furbi
pure noi e all’arrivo chiediamo di fermarsi sotto una stazione a caso della
metro sopraelevata. Per un rientro soft direttamente nel centro commerciale
più grande e frequentato di tutta
Bangkok!
Una sorta di
obolo per aver osato volersi allontanare, per un po', dal casino. Mentre
riprendiamo fiato osserviamo vetrine con scarpe improbabili, ancora dragoni
sparsi: colorati, dorati, scintillanti; ma soprattutto la stratificazione
infinita di questa città, dal livello strada fino all' ottavo piano del
centro commerciale e in mezzo due binari volanti per la metro.
Poi uno dice
che manca l'aria...
E comunque,
come altro poteva chiamarsi il centro commerciale se non, anch'esso, Siam?
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