Arriviamo a
Chiang Mai una domenica in tarda mattina, con un breve volo (Thai) da Bangkok.
A colpirci è
subito la limpidezza del cielo, l’aria che, rispetto allo smog di Bangkok,
torna a farsi respirabile e il caldo umanamente più accettabile.
Quasi non ci
sembra vero di poter respirare bene, parlare senza sudare e soprattutto vedere
il sole e perfino le nuvole stagliati bene su un cielo limpido e non come da
dietro il vetro appannato della doccia!
Chiang Mai è
una tranquilla città di provincia, con un centro storico a pianta quadrata,
delimitato da mura, in cui sorgono più templi che abitazioni.
Ci sono più monaci a passeggio che gente comune.
E poi alberi
di frangipani, maestosi banani, siepi verdissime di rampicanti che sembra di
essere nella giungla.
È un
paesotto calmo e tranquillo, Chiang Mai: ha le dimensioni di una piccola
cittadina fatta però di ritmi lenti, case basse e moltissimo verde.
Con i suoni
dolci dei gong e i mantra recitati dai monaci; i colori del tramonto e l'odore
inebriante dei fiori
…Almeno fino
a quando non arrivano le ore 17 (di tutti i fine settimana)!
Quando spuntano
carretti, sedie, griglie, pentoloni, fusti d'olio, ceste di pesce, di frutta e
di ali di pollo impanate nel peperoncino.
Sembrano
quasi piovere dal cielo o risalire dal sottosuolo.
E il centro storico si trasforma in un enorme, smisurato, esagerato mercato all'aperto dove oltre a vendere tessuti, oggetti da collezione, scarpe, borse, chincaglieria, giocattoli, roba nemmeno identificabile, si avvia tutta la giostra del cibo da strada che riempie di fumi, odori, appiccicume, nebbia e stordimento, ogni singolo anfratto di questo piccolo gioiello di pace.
Nemmeno i
giardini e i cortili dei templi sfuggono all'assalto.
Tutto si
trasforma, cambia uso e destinazione e odora di frittura.
Pure i
bellissimi alberi di frangipani.
Ma è
bellissimo.
Perché
trascina con sé tutto e tutti, turisti compresi.
Anche
quando, a una certa ora, un tizio, dagli altoparlanti disseminati un po'
ovunque, annuncia in inglese che la giornata sta per volgere al termine, si
continuerà a mangiare e a divertirsi, ma è d'uopo un attimo di raccoglimento
per il quale si prega di portare rispetto smettendo di fare ciò che si sta
facendo e fermandosi ovunque ci si trovi. Turisti compresi.
E parte
l'inno nazionale.
Un “bancarellaro”
posa il mestolo con cui stava tirando su i gamberi dall'olio, l'altro smette di
contrattare e si mummifica.
Tutti si
fermano, a cascata, come in un domino, pure quelli che non hanno capito perché.
Un intero
mercato brulicante si ferma.
E tace.
In segno di rispetto per il momento di
riflessione.
E questo ci
rapisce, ci sorprende e fa sentire parte di un tutto, anche se solo per due
minuti e dall’altra parte del mondo.
Il primo
giorno pensiamo bene di uscire in infradito, tanto "è tutto qui vicino e
raccolto e così è anche più comodo toglierle e rimetterle per passare da un
tempio all'altro".
Ma finiamo per
fare oltre 10 km.
Incantati dallo splendore e dalla particolarità di ognuno di questi templi
e soprattutto
dall'impressionante realismo dei monaci di cera piazzati nei punti strategici
di alcuni di essi.
Come alloggio abbiamo scelto una guest house locale,
situata nel cuore della città
vecchia, che è una sorta di casetta da fiaba, di quattro camere in tutto, e
dove il risveglio è all'insegna del canto (ma anche dei fischi e degli stridii)
di pappagalli e uccellini vari e di una colazione tipica (ogni giorno diversa) preparata
al momento dalla signora mamma e servita in veranda da figlia e marito.
Durante i
quattro giorni di permanenza, mentre l’amato bene si butta su pane e marmellata
messi come alternativa, io ho la possibilità di assaggiare molte cose gustose e
fino a quel momento sconosciute. Ogni colazione comprende 3-4 portate composte
da: piatto unico (in brodo o asciutto), frutta, qualcosa di dolce, piccole
porzioni di riso in molteplici versioni.
Per fare
qualche esempio:
Colazione n.1
Ravioli di
gamberi in brodo con verdure e lemon
grass più insalata di contorno; involtini di riso glutinoso ripieni di fagioli
avvolti in foglie; ananas, papaya e un pudding di latte di cocco fresco con
dentro pezzi di zucca (squisito).
Colazione
n.2
Colazione
n.3
Riso con ananas (e altre cose) accompagnato da un uovo fritto e un (buonissimo) brodo caldo; a seguire dei cerchietti di riso glutinoso ripieni di altra crema di riso ("besciamella" nei sogni ormai a occhi aperti dell'amato bene) e poi un dolce a base di latte di cocco con dentro perle di tapioca, mais e fagioli neri; infine la papaya che non manca mai, così come tutta l'altra buonissima frutta di queste parti.
La vera particolarità è che qui, come in tutti i ristoranti o banchetti per la strada
in cui mangiamo, è normale mettere sul tavolo, al posto dei tovaglioli, un
pratico…rotolo di carta igienica. Che sempre carta è.
Il giorno successivo
al nostro arrivo, lunedì, terminata la “Saturday and Sunday walking street
market” e con il paese tornato alla normalità, ci spingiamo oltre le mura della
città vecchia, attraversando Chinatown e tutta la sua animata
brigata di venditori di tutto: dalle zip di ogni lunghezza e sfumatura di
colore, alle rane vive.
Perché poi
le bancarelle confluiscono tutte nell'enorme mercato lungofiume, talmente
grande da essere diviso in zone e settori.
Solo per
stomaci forti la zona riservata alla vendita del pesce, vivo ed essiccato (e di
rane, tartarughe e serpenti), di cui avevamo già fatto esperienza a Hong Kong.
Dicevano che
i wet market fossero stati aboliti, ma a quanto pare...
Forse è solo
per buttarla in caciara che il mercato del pesce sconfina in quello dei fiori.
Qui infatti
si ha modo di riprendersi, tra orchidee
di colori nemmeno immaginabili, vendute a fasci, suddivise per colore, ordinate
per sfumatura.
Chiacchierando con qualcuno, ci
viene suggerito un locale dove mangiare, che mi rapisce al primo sguardo. Non
appena cioè il mio occhio cattura l'immagine di un'esposizione di vasi di fiori
abbinati per colore a fette di torte!
Il piatto
che ci arriva (un semplice riso con gamberi) non è presentato in maniera meno
scenografica.
Torniamo a riposarci un po' “nella casetta di Mowgli” e, a pomeriggio inoltrato, decidiamo di provare un massaggio tailandese, completo di riflessologia plantare.
Ci
accontentiamo di piedi e gambe e menomale! Perché fra tira
torci, scrocchia, premi, insisti sui punti più dolorosi, mettici tutta la forza del mondo,
svia per un attimo e torna a premere più
forte e a lungo di prima...è stata l'ora più interminabile della vita.
Alla fine,
per farsi perdonare, ci offrono tè e micro banane.
Il terzo
giorno, terminata la sontuosa colazione (servita con carta igienica come
tovagliolo, ricordiamolo!) andiamo sulla strada principale per raccattare un
mezzo che ci porti a vedere i dintorni e arrivi fino ai 1700mt del tempio sulla
montagna che sovrasta la città.
Troviamo uno
di quelli più diffusi e divertenti qui a
Chiang Mai: una sorta di pick up rosso, coperto e dotato di due panche
parallele come sedili.
La guida è
sportiva e particolarmente allegra: sarà che dietro è tutto aperto, ma in
salita verso l'altopiano di Doi Pui
rischiano di saltarci fuori zaini, occhiali e cellulari a ogni curva.
L' autista
prima di salire ci ha scattato una foto e pregato noi di scattarne una alla
targa del suo mezzo. Non parla inglese ma all'arrivo capiamo il perché: per
riconoscerci fra tutta la miriade di mezzi tutti uguali e turisti che per lui
devono avere tutti la stessa faccia.
Il villaggio in questione è in realtà un enorme mercato
prevalentemente di abiti e
borse tessuti e ricamati dalle diverse
tribù che lo abitano.
Ci sono
anche gioielli, fragole (coltivate qui) e un gallo che scandisce il tempo cantando
a intervalli regolari.
Ci chiedono
10 bath per visitare un giardino fatto di fiori veri ma anche qualcuno finto e
delle cascate un po' in secca. Nessun cenno invece alla vera attrazione del
luogo che sono delle lunghe, incredibili canne di bambù dalle altezze
vertiginose.
Numero di
targa alla mano ritroviamo il nostro
autista per farci portare al Wat
Pharathat Doi Suthep, uno dei templi più
sacri e venerati della Thailandia che ospita anche un centro di
meditazione molto frequentato da stranieri.
Lo stupa dorato purtroppo è in ristrutturazione
ma nonostante ciò e i 300 e passa gradini necessari per raggiungerlo, la folla
in visita è comunque considerevole.
Da qui si
godrebbe anche di una bella vista su Chiang Mai se non fosse per la densa foschia.
Al ritorno in città facciamo un ultimo giro per templi, scoprendone ancora di nuovi
e
arrivando fino al mercato notturno lungofiume, aperto 24h.
Qui,
nonostante un certo appetito, decidiamo comunque di saltare l'aperitivo a base
di larve, grilli e cicale…
Per cena ci
ritroviamo invece in un locale che è anche negozio di antiquariato, fra
polvere, libri antichi, piante e sedie e tavoli di legno molto vissuto.
La zuppa di
maiale e zenzero ci fa lacrimare per quanto è piccante.
Ma è tutto
davvero molto buono.
Con due coca
cole per spegnere l'incendio e 4 portate
spendiamo in tutto l'iperbolica cifra di 10,27€.
Dopo
un’ultima colazione preparata dalla signora, ci congediamo da questo
meraviglioso posto per dirigerci in aeroporto e fare ritorno a Bangkok.
Per dormire:
18 In Town Homestay
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