"A casa non s'arriva mai, ma dove confluiscono vie amiche, il mondo per un istante sembra casa nostra" (H.Hesse)

lunedì 30 dicembre 2024

Chiang Mai: tutta un tempio (o un mercato?)

 


Arriviamo a Chiang Mai una domenica in tarda mattina, con un breve volo (Thai) da Bangkok.

A colpirci è subito la limpidezza del cielo, l’aria che, rispetto allo smog di Bangkok, torna a farsi respirabile e il caldo umanamente più accettabile.


Quasi non ci sembra vero di poter respirare bene, parlare senza sudare e soprattutto vedere il sole e perfino le nuvole stagliati bene su un cielo limpido e non come da dietro il vetro appannato della doccia!

Chiang Mai è una tranquilla città di provincia, con un centro storico a pianta quadrata, delimitato da mura, in cui sorgono più templi che abitazioni.

Ci sono più monaci a passeggio che gente comune.


E poi alberi di frangipani, maestosi banani, siepi verdissime di rampicanti che sembra di essere nella giungla.


È un paesotto calmo e tranquillo, Chiang Mai: ha le dimensioni di una piccola cittadina fatta però di ritmi lenti, case basse e moltissimo verde.


Con i suoni dolci dei gong e i mantra recitati dai monaci; i colori del tramonto e l'odore inebriante dei fiori


…Almeno fino a quando non arrivano le ore 17 (di tutti i fine settimana)!


Quando spuntano carretti, sedie, griglie, pentoloni, fusti d'olio, ceste di pesce, di frutta e di ali di pollo impanate nel peperoncino.



Sembrano quasi piovere dal cielo o risalire dal sottosuolo.


E il centro storico si trasforma in un enorme, smisurato, esagerato mercato all'aperto dove oltre a vendere tessuti, oggetti da collezione, scarpe, borse, chincaglieria, giocattoli, roba nemmeno identificabile, si avvia tutta la giostra del cibo da strada che riempie di fumi, odori, appiccicume, nebbia e stordimento, ogni singolo anfratto di questo piccolo gioiello di pace.


Nemmeno i giardini e i cortili dei templi sfuggono all'assalto.

Tutto si trasforma, cambia uso e destinazione e odora di frittura.

Pure i bellissimi alberi di frangipani.

Ma è bellissimo.

Perché trascina con sé tutto e tutti, turisti compresi.

Anche quando, a una certa ora, un tizio, dagli altoparlanti disseminati un po' ovunque, annuncia in inglese che la giornata sta per volgere al termine, si continuerà a mangiare e a divertirsi, ma è d'uopo un attimo di raccoglimento per il quale si prega di portare rispetto smettendo di fare ciò che si sta facendo e fermandosi ovunque ci si trovi. Turisti compresi.

E parte l'inno nazionale.

Un “bancarellaro” posa il mestolo con cui stava tirando su i gamberi dall'olio, l'altro smette di contrattare e si mummifica.

Tutti si fermano, a cascata, come in un domino, pure quelli che non hanno capito perché.

Un intero mercato brulicante si ferma.

E tace.

 In segno di rispetto per il momento di riflessione.

E questo ci rapisce, ci sorprende e fa sentire parte di un tutto, anche se solo per due minuti e dall’altra parte del mondo.

Il primo giorno pensiamo bene di uscire in infradito, tanto "è tutto qui vicino e raccolto e così è anche più comodo toglierle e rimetterle per passare da un tempio all'altro".

Ma finiamo per fare oltre 10 km.

Incantati dallo splendore e dalla particolarità di ognuno di questi templi 


e soprattutto dall'impressionante realismo dei monaci di cera piazzati nei punti strategici di alcuni di essi.


Come alloggio abbiamo scelto una guest house locale, 


situata nel cuore della città vecchia, che è una sorta di casetta da fiaba, di quattro camere in tutto, e dove il risveglio è all'insegna del canto (ma anche dei fischi e degli stridii) di pappagalli e uccellini vari e di una colazione tipica (ogni giorno diversa) preparata al momento dalla signora mamma e servita in veranda da figlia e marito.

Durante i quattro giorni di permanenza, mentre l’amato bene si butta su pane e marmellata messi come alternativa, io ho la possibilità di assaggiare molte cose gustose e fino a quel momento sconosciute. Ogni colazione comprende 3-4 portate composte da: piatto unico (in brodo o asciutto), frutta, qualcosa di dolce, piccole porzioni di riso in molteplici versioni.

Per fare qualche esempio:


Colazione n.1

Ravioli di gamberi in brodo con verdure  e lemon grass più insalata di contorno; involtini di riso glutinoso ripieni di fagioli avvolti in foglie; ananas, papaya e un pudding di latte di cocco fresco con dentro pezzi di zucca (squisito).


Colazione n.2


Pad Thai (che si rivelerà il più buono mangiato in tutto il viaggio); Riso glutinoso con cocco magistralmente impacchettato in una foglia; banane cotte nel latte di cocco fresco
🤍; Mango e papaya.


Colazione n.3

Riso con ananas (e altre cose) accompagnato da un uovo fritto e un (buonissimo) brodo caldo; a seguire dei cerchietti di riso glutinoso ripieni di altra crema di riso ("besciamella" nei sogni ormai a occhi aperti dell'amato bene) e poi un dolce a base di latte di cocco con dentro perle di tapioca, mais e fagioli neri; infine la papaya che non manca mai, così  come tutta l'altra buonissima frutta di queste parti.

La vera particolarità è che qui, come in tutti i ristoranti o banchetti per la strada in cui mangiamo, è normale mettere sul tavolo, al posto dei tovaglioli, un pratico…rotolo di carta igienica. Che sempre carta è.


Il giorno successivo al nostro arrivo, lunedì, terminata la “Saturday and Sunday walking street market” e con il paese tornato alla normalità, ci spingiamo oltre le mura della città  vecchia,  attraversando Chinatown e tutta la sua animata brigata di venditori di tutto: dalle zip di ogni lunghezza e sfumatura di colore, alle rane vive.




Perché poi le bancarelle confluiscono tutte nell'enorme mercato lungofiume, talmente grande da essere diviso in zone e settori.

Solo per stomaci forti la zona riservata alla vendita del pesce, vivo ed essiccato (e di rane, tartarughe e serpenti), di cui avevamo già fatto esperienza a Hong Kong.

Dicevano che i wet market fossero stati aboliti, ma a quanto pare...

Forse è solo per buttarla in caciara che il mercato del pesce sconfina in quello dei fiori.

Qui infatti si ha modo di riprendersi, tra  orchidee di colori nemmeno immaginabili, vendute a fasci, suddivise per colore, ordinate per sfumatura.



Chiacchierando con qualcuno, ci viene suggerito un locale dove mangiare, che mi rapisce al primo sguardo. Non appena cioè il mio occhio cattura l'immagine di un'esposizione di vasi di fiori abbinati per colore a fette di torte!

Il piatto che ci arriva (un semplice riso con gamberi) non è presentato in maniera meno scenografica.



Torniamo a riposarci un po' “nella casetta di Mowgli” e, a pomeriggio inoltrato, decidiamo di provare un massaggio tailandese, completo di riflessologia plantare. 


Ci accontentiamo di piedi e gambe e menomale! Perché  fra tira  torci, scrocchia, premi, insisti sui punti più  dolorosi, mettici tutta la forza del mondo, svia per un attimo e torna a premere più  forte e a lungo di prima...è stata l'ora più interminabile della vita.

Alla fine, per farsi perdonare, ci offrono tè e micro banane.


Il terzo giorno, terminata la sontuosa colazione (servita con carta igienica come tovagliolo, ricordiamolo!) andiamo sulla strada principale per raccattare un mezzo che ci porti a vedere i dintorni e arrivi fino ai 1700mt del tempio sulla montagna che sovrasta la città.

Troviamo uno di quelli più  diffusi e divertenti qui a Chiang Mai: una sorta di pick up rosso, coperto e dotato di due panche parallele come sedili.


La guida è sportiva e particolarmente allegra: sarà che dietro è tutto aperto, ma in salita verso l'altopiano di Doi Pui rischiano di saltarci fuori zaini, occhiali e cellulari a ogni curva.

L' autista prima di salire ci ha scattato una foto e pregato noi di scattarne una alla targa del suo mezzo. Non parla inglese ma all'arrivo capiamo il perché: per riconoscerci fra tutta la miriade di mezzi tutti uguali e turisti che per lui devono avere tutti la stessa faccia.


Il villaggio in questione è in realtà un enorme mercato

 prevalentemente di abiti e borse  tessuti e ricamati dalle diverse tribù che lo abitano.





Ci sono anche gioielli, fragole (coltivate qui) e un gallo che scandisce il tempo cantando a intervalli regolari.

Ci chiedono 10 bath per visitare un giardino fatto di fiori veri ma anche qualcuno finto e delle cascate un po' in secca. Nessun cenno invece alla vera attrazione del luogo che sono delle lunghe, incredibili canne di bambù dalle altezze vertiginose.


Numero di targa alla mano  ritroviamo il nostro autista per farci portare al Wat Pharathat Doi Suthep, uno dei templi più  sacri e venerati della Thailandia che ospita anche un centro di meditazione molto frequentato da stranieri.

Lo stupa dorato purtroppo è  in ristrutturazione 


ma nonostante ciò e i 300 e passa gradini necessari per raggiungerlo, la folla in visita è comunque considerevole.


Da qui si godrebbe anche di una bella vista su Chiang Mai se non fosse per la densa foschia.


Al ritorno in città facciamo un ultimo giro per templi, scoprendone ancora di nuovi 


e arrivando fino al mercato notturno lungofiume, aperto 24h.

Qui, nonostante un certo appetito, decidiamo comunque di saltare l'aperitivo a base di larve, grilli e cicale…





Per cena ci ritroviamo invece in un locale che è anche negozio di antiquariato, fra polvere, libri antichi, piante e sedie e tavoli di legno molto vissuto.


La zuppa di maiale e zenzero ci fa lacrimare per quanto è piccante.


Ma è tutto davvero molto buono.

Con due coca cole per spegnere l'incendio e 4 portate  spendiamo in tutto l'iperbolica cifra di 10,27€.



Dopo un’ultima colazione preparata dalla signora, ci congediamo da questo meraviglioso posto per dirigerci in aeroporto e fare ritorno a Bangkok.


Per dormire: 18 In Town Homestay



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